– Castelfranco Veneto, 25 marzo 1927; Castelfranco Veneto, 1º novembre 2016 –

Roma, 27 febbraio 1975, l’anno internazionale dedicato alla donna. Tina Anselmi, allora sottosegretaria al Ministero del Lavoro, pronuncia un discorso che delinea il suo pensiero sull’occupazione femminile, eccone un passaggio:

“Le soluzioni su cui riflettere passano dalla realizzazione di uno
sviluppo economico che garantisca il lavoro a tutti i cittadini, e quindi
anche alla donna; va ripensata l’organizzazione del lavoro in modo da
permettere alla donna una pluralità di scelte secondo le proprie
attitudini, le proprie condizioni personali e le responsabilità che essa ha nella famiglia.”

Nello stesso anno, la dott.ssa Anselmi presiedette la delegazione italiana alla World Conference on Women promossa dall’ONU a Città del Messico e il già citato discorso alla Nazione pronunciato qualche mese prima, la aiuta anche a spiegare quale fosse il senso che lei dava alla sua partecipazione alla conferenza delle Nazioni Unite proprio su questo tema.
Nel suo discorso delinea le linee programmatiche di quella che sarebbe stata una legge da lei promossa due anni dopo sulla parità salariale, e dice che la nuova legge avrebbe dovuto toccare anche il tema dei servizi sociali di modo che siano atti a migliorare la qualità della vita e possano consentire una reale conciliazione tra compiti familiari e quelli di lavoro.  Tina nasce a Castelfranco Veneto (TV) nel 1927 da una famiglia contadina, cattolica e benestante. Può frequentare l’intero ciclo di istruzione diplomandosi presso l’Istituto magistrale di Bassano del Grappa (VI).
In quegli anni, siamo nel pieno del regime fascista, non era inconsueto che venissero operate azioni dimostrative da parte delle forze di polizia a scopo intimidatorio e deterrente, come era capitato anche ad alcune Aquile Randagie nell’allora Milano.
Tina assiste a una di queste scene un giorno in cui con le sue compagne è costretta ad abbandonare la scuola proprio per presenziare all’impiccagione pubblica di un gruppo di giovani ragazzi vittime di una rastrellata. In quel momento Tina ha 17 anni e da lì, racconterà poi, decide di passare all’azione, aderisce alla Resistenza con il nome di Gabriella e diventa staffetta partigiana. Viene a far parte di quel gruppo di donne che si occupano di garantire e mantenere i collegamenti fra i partigiani e le loro famiglie, ma anche di recuperare beni essenziali per loro e di recapitarli a destinazione.
Decidere di passare all’azione significa per lei in qualche modo rinunciare ad abdicare alla propria vocazione profonda, è più di un istinto, più di un’intuizione, che la guida verso la sua strada.
Dopo la Liberazione del nostro Paese dal regime fascista, Tina si laurea in Lettere e diventa insegnante elementare. Parallelamente prosegue il suo impegno politico sia nella fase del referendum tra Monarchia e Repubblica che nei lavori dell’Assemblea Costituente, quel gruppo di intellettuali e illuminati Italiani che furono chiamati a dare vita a qualcosa che prima non c’era: l’ordinamento repubblicano che vive ancora oggi. Tina si esprime al meglio in quegli anni impegnandosi nel motivare al voto le donne della sua regione ed è proprio in questa fase che si appassiona alla condizione femminile e al tema del lavoro, la muovono soprattutto situazioni che ha sotto gli occhi, come le grandi sacche di disoccupazione del Veneto contadino e l’esperienza delle donne filandiere che vengono impiegate negli opifici per la produzione della seta. Queste vivono una condizione di sfruttamento in termini di tempo dedicato giornalmente al lavoro, sforzo fisico e salari molto bassi. In un tempo in cui la disoccupazione maschile era in crescente aumento e in cui il profilo produttivo delle aree rurali era oggetto di una importante transizione, la principale risorsa per costruire il futuro erano queste lavoratrici.
Nel 1976, un anno dopo la sua partecipazione alla conferenza delle Nazioni Unite, Tina diventa ministra del Lavoro e della Previdenza Sociale ed è la prima donna a ricoprire questa carica nella storia della Repubblica Italiana. L’anno successivo, grazie alla sua attività, si arriva all’approvazione della legge sulla parità di trattamento nel lavoro. Per lei la questione femminile
«coinvolge la responsabilità di tutta la società» che viene messa in discussione quanto al sua struttura che necessita di essere ripensata a 360 gradi. Lei parte da privilegiata, da donna piena di opportunità, ma contribuisce ad aprire la strada per coloro che verranno dopo di lei e che partono da una condizione di indubbio svantaggio.
Sembra una storia di oggi, invece sono passati 45 anni.
Saltando avanti di qualche decennio, anche Papa Francesco parlando delle donne madri e lavoratrici, ha espresso in altro modo questo stesso concetto: Bisognerebbe comprendere di più la loro lotta quotidiana per essere efficienti al lavoro e attente e affettuose in famiglia; bisognerebbe capire meglio a che cosa esse aspirano per esprimere i frutti migliori e autentici della loro emancipazione (Udienza del 7 gennaio 2015).

Tina Anselmi ha provato a tracciare una strada per garantire un’opportunità a tutte noi che ne beneficiamo oggi. La difficoltà di un giusto equilibrio tra le aspirazioni personali, lavorative e di vita familiare è ancora viva e presente anche tra di noi quando pensiamo al futuro e tanti desideri si affastellano: “potremo fare tutto? Faremo tutto bene? Qual è un equilibrio giusto?”
In sostanza, ci chiediamo se saremo felici, se troveremo la vera gioia nella strada che sceglieremo. Forse è nelle pieghe delle scelte che facciamo che si trovano le tracce del sentiero da percorrere, nel coraggio di provare, investire sui talenti che abbiamo. Perché, esiste vera gioia fuori da quello che siamo veramente?
Siamo chiamate e chiamati a dare la più autentica delle risposte.

Silvia Breda