Non che ci mancassero ostacoli nella nostra vita, non che tutto fosse perfetto e soave. Sicuramente ciascuno di noi ha i suoi problemi e i suoi guai. Delusioni e prove da superare sono spesso quotidiane. Problemi di rapporti con chi ci sta vicino, o ancora peggio problemi di salute, nostri o di chi vive con noi, fatica nello studio o nel lavoro, colleganze o vicinanze poco tranquille. Battaglie costanti. Però ora ciò che è entrato nella nostra vita ci racconta un’altra storia: Coronavirus.
Un muro alto che si para davanti a tutti noi. Tutto il mondo si trova un ostacolo davanti… un signor ostacolo dai tempi indefiniti e dal profilo impreciso, da affrontare con mille attenzioni e strategie articolate.
Allora come facciamo adesso? Siamo stati colti impreparati e tutto questo ci ha disorientato. Noi, scout; noi, quelli sempre pronti, Estote Parati… Ma ci stiamo riprendendo. O meglio, stiamo cercando soluzioni, equilibri, linee di resistenza. La nostra creatività può salvarci. La nostra capacità di osservare e trovare strade alternative può essere determinante. Perché questa situazione è tutta nuova, è proprio tutto un altro mondo quello nel quale ci troviamo. E allora vedere, analizzare, capire e buttare il cuore oltre l’ostacolo non può che essere la strada da percorrere.
Fin dal primo giorno mi è tornato in mente un articolo di tantissimi anni fa pubblicato su una rivista Scout. Era di Andrea Canevaro, pedagogista e professore all’Università di Bologna. Lo scrisse per aiutare a riflettere sul mondo consumistico, su come stare dentro il sistema fosse funzionale al sistema che favoriva il disgregamento del senso originale di ciascuno. Presentava una linea di resistenza particolare e abbastanza cruda, quella di un campo di concentramento.
Dal libro Le donne di Ravensbruck prendeva spunto per una riflessione: “Dopo 7 mesi di Ravensbruck so ben poco di quanto avviene al di fuori della mia visuale ristretta al blocco e al posto di lavoro, non so quasi nulla sul funzionamento, sull’organizzazione, sulle gerarchie del campo, sulle S.S. Monique e le sue compagne invece sono informate, sanno tutto quello che avviene sia all’interno che all’esterno”. Quindi uno dei punti di resistenza è l’informazione.
Prosegue: “Monique mi prende sotto la sua protezione […] Il suo lavoro è lento e difficile: deve spiegarmi perché lavarsi, pettinarsi, e trovarsi in ordine fa parte della resistenza in campo. Lavarsi quando non c’è né asciugamano né sapone, smacchiare il vestito con l’acqua fredda, lavare le mutande e la camicia, stenderle e farle asciugare, anche se è proibito, vuol dire trovare la forza di rompere, di violare gli ordini assurdi del sistema. Allenare la memoria e il cervello, secondo lei, è un altro mezzo per resistere alla discriminazione. Mi costringe così a imparare meglio il francese”.
L’altro punto di resistenza è la cura della propria dignità materiale e intellettuale.
Ora noi sappiamo di non vivere in un campo di concentramento e il tempo che ci hanno obbligato a passare reclusi ha una funzione pratica e chiara. È una soluzione trovata, non avendo altre soluzioni praticabili. Però lo spunto di riflessione rimane. In qualsiasi difficoltà possiamo trovarci, qualsiasi ostacolo possiamo avere davanti dobbiamo essere in grado, nella nostra vita, di analizzarlo compiutamente e di trovare la giusta linea di resistenza. Con occhi aperti guardarci intorno e capire cosa sta succedendo. Poi salvare la propria dignità, curando la propria identità e persona non tanto e non solo per sé stessi, ma anche per essere utile agli altri quando questi saranno nella fragilità. Nel racconto Monique è in grado di aiutare, di essere utile. Perché è rimasta attenta e presente a sé stessa. Queste attenzioni si devono accentuare nei “tempi forti”, nelle difficoltà. Andrea Canevaro chiudeva l’articolo invitando a ricercare la libertà, sia impegnandosi a riordinare ogni giorno la tavola sia scrutando l’orizzonte della storia.
Perché la libertà deve essere conquistata ogni giorno; liberarsi per amare e servire il mondo, per non avere vincoli nel pensare e costruire ciò che è buono, liberi per volgere la testa verso l’alto, verso Dio. Quando ciò che è buono non è possibile farlo allora ci dobbiamo interrogare e capire perché. Questo è il prezzo che la libertà chiede alla nostra coscienza. E bisogna avere tutti gli strumenti per capire. Non è semplice, non è un gioco. I veri ostacoli sono cose serie.
Monica D’Atti