Di questi tempi molti volti di “eroi” popolano i social, i programmi televisivi, i TG, le riviste e il web e abbiamo imparato a riconoscere in alcuni elementi identificativi (uomini e donne bardati da capo a piedi, segni sul volto di fatica e di mascherine portate troppo a lungo, camici verdi, …) i segni di coloro che possono concretamente salvare la vita delle persone con mezzi e conoscenze affidabili.
Forse ci siamo sentiti inutili, costretti a casa e senza la possibilità di servire a modo nostro, di renderci utili come siamo stati in tante altre circostanze nelle situazioni difficili che il nostro Paese o i nostri Comuni e Città hanno attraversato negli anni passati. Ma ancora una volta, qui possiamo imparare una grande lezione che ci da spinta e motivazione a fare del nostro meglio.
Ce la suggerisce la storia di un medico britannico, protagonista di un’altra grave crisi sanitaria avvenuta qualche secolo fa.

John Snow nasce a York nel 1813, è il primo di nove figli e risiede, con famiglia e genitori, in uno dei quartieri più poveri della città. Forse per la fortuna di essere il primogenito, può andare a scuola fino ai 14 anni, diventa poi apprendista chirurgo e ostetrico presso un medico, amico di un parente, il dott. Stephenson, che lo accoglie nella sua famiglia e gli trasmette il suo sapere.
In seguito, viene impiegato nella cura dei malati di colera diffusasi nella sua regione, poi lavora come chirurgo in miniera e per un anno fa anche da assistente
farmacista. Ha anche l’opportunità di lavorare all’ospedale di Westminster e riesce a sostenere con esito positivo l’esame di farmacista. Diventa poi membro della Westminster Medical Society, fa pratica all’ospedale caritativo di Charing Cross dove riesce ad approfondire diversi temi di ricerca, pubblicare numerosi articoli scientifici e tenere conferenze, finché il 20 dicembre 1844 diventa dottore in medicina presso l’Università di Londra.
Snow viene ricordato in particolare per essere stato una figura significativa durante l’epidemia di colera di Londra. Al tempo, non era una conoscenza popolare quella che riferiva la causa delle malattie a “particelle” non percepibili a occhio nudo, e, più in generale, il mondo dell’“invisibile” era una categoria sulla quale c’erano tante teorie, credenze, superstizioni a tutti i livelli. In particolare, nell’Ottocento, diversi medici pionieri nella ricerca sulle malattie contagiose cercano di rendere note anche al pubblico popolare le loro scoperte, ma ricevono poco ascolto e considerazione perché le teorie che propongono sono troppo lontane dal senso comune e appaiono, per questo, prive di fondamento. Il caso del colera di Londra era al centro di un grande dibattito in particolare sulle cause della diffusione incontrollata di questa malattia della quale, peraltro, non era chiara nemmeno la causa. Snow non è convinto della teoria dei cosiddetti “miasmi” secondo
cui le malattie derivano dall’“aria cattiva” e utilizza la sua inventiva per studiare un modo per cercare contestualmente la causa e provvedere al contenimento del contagio. Il risultato della sua ricerca è una mappa: egli parte dalla teoria che l’agente di diffusione non sia l’aria, bensì l’acqua e studia pian piano la diffusione geografica della malattia e la mette in relazione con la rete di pompe pubbliche che rifornivano di acqua i quartieri della città.
Si concentra sul quartiere di Soho, in cui stavano morendo parecchie persone, fa interviste ai residenti, preleva dei campioni, ma non è in grado di ottenere risultati convincenti sulla contaminazione. Prova così a far chiudere una pompa e, da quel momento, in poi i casi di colera diminuiscono e la crisi sanitaria rientra.
La mappa che produce alla fine degli studi non è altro che l’esemplificazione della sua teoria sulla diffusione del contagio dimostrata attraverso i fatti e le evidenze raccolte. Snow procede con un meccanismo del tutto avvicinabile a quello della nostra inchiesta-capitolo-impresa, come del resto tutta la scienza empirica fa, si muove in un terreno di non piena fiducia e consenso, ma convinto dei suoi mezzi e tenace verso l’obiettivo, procede spedito e riesce nel tentativo di risparmiare la malattia a molti concittadini.
In questo tempo anche noi abbiamo tra le mani una grande occasione, la storia di Snow ce lo dimostra.
L’invito che dobbiamo sentire forte è quello di continuare a perseguire con serietà e impegno la strada intrapresa con i nostri studi, questa è una forma di servizio importante che possiamo portare in questo tempo. Abbiamo, fortunatamente, riscoperto la competenza come valore e che consente a coloro che, in questo caso, ne hanno i mezzi e la possibilità, a contribuire concretamente alla risoluzione della situazione sanitaria, più della maggior parte di noi che ha “solo” il più umile mezzo di contribuire rispettando le regole che ci sono state date. Il nostro più grande servizio sia ora quello di diventare donne e uomini capaci, affidabili e caparbi, qualsiasi sia il settore in cui vorremmo spenderci nella vita, perché davvero la sfida è grande e aspetta noi. Il lavoro di tutti noi sarà quello di contribuire a costruire un mondo che, dopo aver conosciuto la paura, passi alla consapevolezza che c’è la possibilità di ricostruire su basi diverse, più sostenibili, eque e solide.
Evitiamo di essere noi per prime/i il mezzo di diffusione della falsa cultura e usiamo tutte le nostre risorse per tracciare già oggi, la strada di un domani che ci veda protagonisti ambiziosi e tenaci, in grado di immaginare e perseguire strade nuove, anche controcorrente.

     

Il monumento commemorativo posto davanti al Pub John Snow, in prossimità dell’incrocio in cui sorgeva la pompa ad acqua che diede origine all’epidemia di
colera. Caso curioso in quanto il medico non beveva alcolici.

Silvia Breda