Anni fa, quando ero giovane, con capelli folti, marroni e ricci, nel pieno dell’attività Rover, mi piaceva mettere alla prova il mio Capo Clan con continui cambiamenti di umore, ero diventato un super campione nel prenderlo in giro.
Del tipo: “Lorenzo, ci vediamo sabato alle ore 16, per l’uscita di Clan”?
Ed io: “Certo, ci vediamo in piazzetta a quell’ora…”
Ero diventato talmente puntuale, non nell’arrivare in orario, ma a cambiare completamente decisione che anche i miei amici di Clan mi prendevano in giro, divenendo presto il burlone della comunità.
A sforzo superai l’anno di noviziato, turbinii emotivi investivano la mia quotidianità e ciò che andava bene ieri, era praticamente soppiantato il giorno dopo, e così facendo arrivai a firmare la carta di Clan. Quando decisi di compiere il passo, ben oltre il tempo destinato per maturare questa scelta, ricordo che tutto il Clan e tutta la pattuglia dei capi erano talmente contenti che a firma avvenuta, festeggiammo tutti insieme, e alla prima occasione che si presentò, forse durante un campo invernale, mi praticarono anche un po’ di nonnismo, infilandomi della neve fresca dentro ai pantaloni…
Vabbè, non del tutto in linea con “La strada verso il successo”, ma in fondo me lo meritavo.
Il susseguirsi di eventi spiacevoli, a quell’età basta una parola storta con un amico o con quella che a te sembra la tua morosa e invece forse ti sei dimenticato di dirglielo…, non migliorarono di fatto i miei equilibri psichici, e la condizione e gli atteggiamenti anziché migliorare rotolavano in direzione della disperazione.
Finalmente andavamo verso la bella stagione, la mia super stima andava in direzione del sole, più si sollevava dal terreno e più divenivo raggiante, anche dopo una stagione invernale lunga e tosta, ci preparavamo al campo mobile estivo. Se ne parlava già da un po’, il miraggio di conoscere posti nuovi, di dormire in località insolite, fondeva in me un’attesa che non avevo mai sperimentato prima.
Ignaro che tra l’inverno e l’estate c’erano anche altri mesi che stavamo in mezzo, poco dopo l’entrata della primavera, Mirko, il mio Capo Clan, mi disse che di li a poco avremmo avuto un’uscita, insieme ai Rovers di tutta la regione. Chiesi di cosa si trattasse, già il fatto di vedere così tanta gente non mi generava gioia ma piuttosto un po’ di ansia, e mi sentii rispondere che era una grande sfida, potevamo misurarci sulla topografia, sul cucito, sul morse. Ricordo bene la mia esclamazione, che poteva essere, per dirlo in maniera chiara ma non del tutto pertinente alla verità, con
un “NOOOOOOOO” che risuonò per tutta la sede. Il capo Clan mi disse di stare tranquillo, che a seconda di come riuscissi a superare quella prova, avrei ricevuto un punteggio che alla fine avrebbe generato una classifica.
L’ansia aumentava e la disperazione totale si manifestò quando mi comunicò il compagno di pattuglia… In due non ne facevamo uno, avremmo di sicuro vinto la gara di cucina e la scenetta del sabato sera, come poi avvenne, ma per tutto il resto mi sembrava di vivere dentro ad un brutto sogno, dove i capi delle pattuglie erano dei professori spietati che stavano a giudicare la mia scarsa preparazione.
Arrivò il giorno tanto temuto, io e Paolo eravamo talmente impreparati che il nostro stato ci generava ilarità, non solo tra me e lui, ma anche tra le pattuglie del mio Clan. Sul pulmino, lungo il viaggio, cercavamo di evadere con la mente per allontanare il momento in cui ci saremmo misurati con il resto dei partecipanti.
Sentivo gli altri parlare di Clan fortissimi che arrivavano dalla parte nord delle Marche, podisti instancabili, concentrati su questo evento già da mesi, che provengono da tradizioni i cui gruppi di provenienza collezionavano vittorie su vittorie e che oramai si sentono sconfitti se solo arrivano secondi.
Arrivati nel luogo dove ci saremmo confrontati, ero già stanco, e con questo stato d’animo ci accingemmo velocemente per fare il cerchio di apertura e di li a poco ci ritrovammo con un nome di pattuglia e con un identificativo.
Il primo confronto lo avemmo con il cucito, mia nonna mi diede delle ottime indicazioni solo che vederlo fare a lei e il metterlo in pratica, fu una differenza che si materializzò sotto ai miei occhi. Ce la cavammo egregiamente ma il primo scoglio non tardò ad arrivare.
Arrivati su un promontorio, grazie al superamento del cucito ci vedemmo consegnare una cartina con dei punti da individuare, e arrivati sul posto deciframmo un morse con cui saremmo dovuti arrivare al punto successivo. Capire il morse fatto di parole, non mi era semplice, ma comprendere le coordinate fatte di numeri che nel momento in cui ci trovammo a tradurlo, ci venne chiaro in mente che non averli ripassati fosse stato una leggerezza che avremmo pagato caro.
Beh, fu l’inizio di una lunga serie di errori che ci portò a sollevare il morale e la testa solo quando ci ritrovammo l’indomani alla gara di cucina, dove spazzammo letteralmente le pattuglie avversarie e dove finalmente avemmo una piccola pacca sulla spalla per le stupefacenti pietanze che in breve tempo riuscimmo a preparare.
Al cerchio finale avemmo anche un’altra piccola soddisfazione, aver avuto un plauso per la tecnica di espressione, ma il talento era soprattutto del mio compagno di pattuglia, nato giocoliere di parole e di postura assolutamente strappa risate che io non feci altro che dargli corda e seguirlo in tutto ciò che gli venisse in mente.
L’idillio dell’ilarità scomparve quando i capi della regione iniziarono a dire la classifica, che io davo per scontato partire dal podio, tralasciando tutti gli altri.
Mi sbagliavo, partì dall’ultimo classificato e qualcosa mi diceva che potesse essere proprio la nostra posizione ma ancora una volta rimanevo a bocca aperta perché due ragazzi di quei gruppi che collezionavano vittorie si classificarono ultimi.
Quello subito dopo era il nostro, e lo ricordo talmente bene quel momento perché generò un tale applauso che lo ricorderò per sempre, un incoraggiamento che mi sembrò essere arrivati primi non sull’attività che avevamo appena concluso ma al campionato del mondo di Triathlon.
A distanza di anni mi ritrovo ad essere Commissario Nazionale di Branca Rover e questo mio passato mi torna alla mente, fervido e tangibile più che mai, forte del fatto che ora conosco realtà che vanno un po’ più in là della mia regione, e so che non in tutti i distretti d’Italia usano lo strumento chiamato Challenge e che non ancora è stato compreso per ciò che porta con sé.
Con questo non intendo promuovere a pietà o a super eroe la mia figura, piuttosto uso le mie deficienze avute da ragazzo per riscoprire con gli occhi da Commissario e portare a conoscenza di quanto possiamo mettere in gioco strutturando una proposta metodologica cucita su misura sulle necessità dei nostri Rover.
Sapere che Luca ha problemi con l’alcool, che Francesco per farsi vedere più grande fuma di tanto in tanto con i suoi amici, Giovanni ha problemi di autostima, ecc.., fa sì che allora il Challenge acquisti quel senso per cui è stato creato, e cioè che grazie alle tecniche acquisite quando era esploratore diventi di duplice effetto, usate per migliorare quell’aspetto caratteriale o quel limite di un ragazzo o per fargli scoprire un talento, e che grazie alla pratica costante delle tecniche possa metterle al servizio degli altri tramite il servizio al prossimo.
Vedete ragazzi quanto è importante chiudere un percorso formativo, il gioco, le tecniche, il servizio, in esse ci sono le fasi di crescita di uno Scout e quindi l’esser stato Lupetto, Esploratore e poi Rover, fa si che avvicinandosi alla partenza, tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione dobbiamo utilizzarli tutti e spero che sia chiaro, una volta per tutte, che il nostro fine ultimo non è far diventare i nostri Rover la bella copia del Capo Clan ma far maturare il progetto che Dio ha su ognuno di noi.
Chiaro?

Parate Viam Domini e Buona Strada.
Lorenzo Cacciani