Il 25 aprile scorso si è svolta una cerimonia per ricordare il 90° anniversario della morte di Egidio Bullesi, un ragazzo istriano di cui forse non in molti avranno sentito parlare, ma di cui vale certamente la pena raccontare.
Egidio nasce a Pola, in Istria, nel 1905 da una famiglia di modeste condizioni economiche. Durante la Prima Guerra Mondiale, ancora bambino, Egidio sperimenta insieme alla sua famiglia le dolorose peregrinazioni che i profughi istriani sono costretti ad affrontare: via da Pola, città natale, per scappare prima a Rovigno (Istria), poi in Ungheria, infine a Graz, in Austria.
Finalmente, finita la guerra, la famiglia di Egidio, che ha conosciuto la fame, può tornare a Pola, che ora è italiana. Qui Egidio, tredicenne, lavora come apprendista prima e operaio specializzato poi, in un cantiere navale. Il cantiere è un ambiente ostile e pericoloso, ma Egidio lo affronta con uno spirito coraggioso e positivo: in un clima sociale teso, si impone contro la massa degli scioperanti per sostenere altri metodi di elevazione sociale. Per questo comincia quella che, inconsapevolmente, è un’opera di apostolato: essere testimone di un modo di vivere “cattolico”, di cui lui stesso darà una definizione qualche anno più tardi.
Nel 1920, a quindici anni, entra nell’Azione Cattolica, dimostrando una straordinaria capacità di osservazione ed analisi della società in cui vive:

“Non c’era bisogno di un occhio di
lince per scorgere la miseria morale e
materiale della vecchia città adriatica
nell’immediato dopo guerra. Le strade,
i moli, le rive mostravano lo spettacolo
triste di tanti poveri ragazzi abbandonati
a sé stessi, bisognosi di una mano che
li guidasse e di un cuore che li amasse.
Bisognava avvicinarli, difenderli,
educarli, prepararli alla vita”.

Nel 1921, mandato a Roma a rappresentare l’Azione Cattolica di Pola fa la sua conoscenza con lo scautismo, di cui rimane entusiasta, poiché vede in questo una risposta ai bisogni che osserva nei ragazzi di Pola.
Rientrato a casa, si fa promotore della fondazione di un Riparto di Giovani esploratori di cui sarà egli stesso un membro. Per far conoscere gli scout alla cittadinanza vuole a tutti i costi che il Riparto San Michele partecipi, in uniforme, alla solenne processione del Corpus Domini: per questo, insieme ad alcune donne volenterose, in pochi giorni mette insieme le uniformi. Il sogno dello scautismo viene però interrotto dalla prepotenza del governo fascista, che impone, nel 1927, lo scioglimento delle associazioni.

“Posso esclamare:
ecco, la mia vita
segue una stella;
tutto il mondo, così,
mi pare più bello.”
[Egidio Bullesi]

Ma Egidio non si perde d’animo e di fronte ad una legge ingiusta sceglie, come fecero le Aquile Randagie, la resistenza. Così scriveva al fratello Giovanni:

“Ora, Giovanni, conservando uniti gli
Esploratori, sarà bene costituire un Circolo
a Panzano e federarlo alla Gioventù
Cattolica, poi mantenere intatto lo spirito
scautistico, evitando solo quello che può
essere contrario alle intenzioni del Papa.
E del resto continuare l’identica attività.
Cercare quindi di tradurre in fatto il
proverbio: l’abito non fa il monaco.
Va bene?”.

Nel frattempo, nel 1925, a diciannove anni, viene chiamato a svolgere servizio di leva nella Regia Marina Militare. Questo è il periodo più difficile, nel quale i suoi principi morali vengono messi a dura prova dal clima militaresco. Ma Egidio dimostra ancora una volta una grande determinazione e fortezza di carattere, tanto che molti commilitoni della nave “Dante Alighieri”, riconoscono in lui una guida e lo seguono in quelle che chiameranno le “attività serali frigorifere”, un circolo dal clima cameratesco e fraternamente allegro che si riunisce nei locali frigoriferi della nave, un “Circolo della Purezza”, di gioia di vita cristiana. Questa gioia è un modo di vivere che Egidio testimonia quotidianamente, di cui è molto orgoglioso e che cerca nei giovani coetanei. Scriverà alla sorella che un giorno, lontano da casa, sbarcato in Sicilia durante il servizio di leva, avesse trovato conforto nella gioia chiassosa dei ragazzi vicino ad una chiesa:

“Trovai un circolo di molti giovani, assieme
a un giovane assistente ecclesiastico.
M’intrattennero molto bene e mi
accompagnarono a visitare la bella chiesa
del luogo. Ma i giovani, quei giovani,
quanto li trovai buoni, veramente cattolici:
premurosi, gentili, generosi, insomma
avevano tutte le buone qualità di
giovani cattolici”.

Terminato il servizio di leva, Egidio torna a Pola, dove termina gli studi e diventa disegnatore tecnico.
Quindi, viene assunto a Monfalcone, presso i cantieri navali. Ma la sua premura, gentilezza, generosità, sono sempre rivolti al prossimo, anche nel tempo libero, che dedica al catechismo e ai poveri, agli ammalati, agli stranieri insieme all’Opera della Carità San Vincenzo.
Rimane sempre cosciente dell’urgenza di educare i giovani, ha le idee chiare su quel che serve all’Italia:

“Si tratta di salvare molte anime di
fanciulli: si tratta di orientarle per tutta
la vita verso Nostro Signore, verso il suo
Cuore. Si tratta di dare all’Italia nostra
la giovinezza di domani, forte e pura,
colta e pia, si tratta di popolare il Cielo
di Santi”.

Nel 1927 si ammala di tubercolosi e comincia una lunga degenza in ospedale, a Pola, comunicando gioia e bellezza anche nella sofferenza, affrontando con forza d’animo e serenità la malattia che se lo porterà via il 25 aprile 1929. Nel 1997, Papa Giovanni Paolo II lo ha nominato Venerabile, ed è tutt’ora in corso la causa per la sua beatificazione. Nel santuario sull’isola di Barbana, ai piedi della statua che lo ricorda è riportato il verso “Viver d’amore è navigare, ognora gioia spargendo e riso attorno a me”, tratto dal suo diario e ispirato da una frase di Santa Teresa di Lisieux.

“Questa sarà la mia missione: gioia,
riso, amore; questo il mio messaggio
sul mare”.