Giorgio Perlasca nasce il 31 gennaio 1910 a Como, ma ancora bambino, per motivi di lavoro del padre Carlo, si trasferisce insieme alla famiglia a Maserà in provincia di Padova.
In giovane età dimostra un carattere forte e combattivo. Avendo aderito con entusiasmo al fascismo, arriva a sostenerne le idee al punto di litigare pesantemente con un suo professore, e per questo motivo è espulso per un anno da tutte le scuole del Regno.
Coerentemente con le sue idee, nel 1936 parte come volontario per l’Etiopia e poi nel 1937 per la Spagna, per combattere come artigliere al fianco del generale Franco. Al termine della guerra civile spagnola, rientrato in Italia comincia ad allontanarsi dal fascismo, con cui non condivide in particolare l’alleanza con la Germania e le leggi razziali entrate in vigore nel 1938, che sancivano la discriminazione degli ebrei italiani.
Dopo essersi sposato nel 1940, nei primi anni della seconda Guerra mondiale Perlasca si trova a lavorare nei paesi dell’Est (Croazia, Serbia e Romania e, dal 1942, in Ungheria a Budapest), come agente venditore con permesso diplomatico, incaricato di comprare carne per l’Esercito italiano. Alla firma dell’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) si trova a Budapest.
Pochi giorni dopo, i tedeschi affidano il governo ungherese alle Croci Frecciate, il partito nazista ungherese, che inizia persecuzioni sistematiche, violenze e deportazioni verso i cittadini di religione ebraica. Anche Perlasca, che aveva rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, è internato per alcuni mesi in un castello riservato ai diplomatici, ma approfittando di un permesso a Budapest per visita medica riesce a fuggire. Si nasconde presso vari conoscenti, quindi grazie a un documento ricevuto al momento del congedo in Spagna trova rifugio presso l’Ambasciata spagnola: in pochi minuti diventa cittadino spagnolo con un regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca, e inizia a collaborare con l’Ambasciatore spagnolo che assieme alle altre potenze neutrali presenti in Ungheria (Svezia, Portogallo, Svizzera, Città del Vaticano) sta già rilasciando salvacondotti per proteggere i cittadini ungheresi di religione ebraica. Rilascia salvacondotti che recitano “parenti spagnoli hanno richiesto la sua presenza in Spagna; sino a che le comunicazioni non verranno ristabilite ed il viaggio possibile, Lei resterà qui sotto la protezione del governo spagnolo”.
Li rilascia utilizzando una legge promossa nel 1924 da Miguel Primo de Rivera che riconosceva la cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei di ascendenza sefardita (di antica origine spagnola, cacciati alcune centinaia di anni addietro dalla Regina Isabella la Cattolica) sparsi nel mondo. Alla fine di novembre (1944) l’Ambasciatore spagnolo è costretto a lasciare l’Ungheria. Il giorno seguente, venuto a conoscenza della partenza dell’Ambasciatore, il Ministero degli Interni ordina di sgomberare le case protette. È qui che Giorgio Perlasca prende la sua decisione: restare a Budapest e spacciarsi per il sostituto del console partente, all’insaputa dello stesso e della Spagna. E’ creduto e le operazioni di rastrellamento vengono sospese. Il giorno dopo su carta intestata e con timbri autentici compila di suo pugno la sua nomina ad Ambasciatore spagnolo e la presenta al Ministero degli Esteri dove le sue credenziali vengono accolte senza riserve. Nelle vesti di diplomatico regge pressoché da solo l’Ambasciata spagnola e gestisce il “traffico” e la sopravvivenza di migliaia di ebrei, nascosti nell’ambasciata e nelle case protette sparse per la città e lungo il Danubio, come similmente cercavano di fare il diplomatico Raoul Wallenberg e il nunzio apostolico Angelo Rotta. Li tutela dalle incursioni delle Croci Frecciate, si reca con Wallenberg alla stazione per cercare di recuperare i protetti, tratta ogni giorno con il Governo ungherese e le autorità tedesche di occupazione.
La legge Rivera è la base legale dell’intera operazione organizzata da Perlasca, che gli permette di portare in salvo migliaia di ebrei ungheresi. Cura infine personalmente l’organizzazione e l’approvvigionamento dei viveri, recandosi ogni giorno presso le abitazioni, e utilizzando gli scarsi fondi dell’ambasciata, poi i propri e quindi studiando e applicando un sistema equo di autotassazione sui rifugiati, basato sugli averi di ciascuno.
Dopo l’entrata in Budapest dell’Armata Rossa, Giorgio Perlasca viene fatto prigioniero, liberato dopo qualche giorno, e dopo un lungo e avventuroso viaggio per i Balcani e la Turchia rientra finalmente in Italia. Da eroe solitario diventa un “uomo qualunque”: conduce una vita normalissima e chiuso nella sua riservatezza non racconta a nessuno, nemmeno in famiglia, la sua storia di coraggio, altruismo e solidarietà. La vicenda di Giorgio Perlasca esce dal silenzio grazie ad alcune donne ebree ungheresi, ragazzine all’epoca delle persecuzioni, che ricercano notizie del diplomatico spagnolo che durante la seconda guerra mondiale le aveva salvate, attraverso il giornale della comunità ebraica di Budapest. Le testimonianze dei salvati sono numerose, arrivano i giornali, le televisioni, i libri, e lo stesso Perlasca si reca nelle scuole per raccontare quel che aveva compiuto. Non certo per protagonismo, ma proprio perché ritiene necessario rivolgersi alle giovani generazioni affinché tali follie non abbiano mai più a ripetersi. Il 23 settembre 1989 è insignito da Israele del riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni” e gli viene dedicata una foresta, in cui sono stati piantati 10.000 alberi, a simboleggiare le vite degli ebrei da lui salvati in Ungheria. Solo nell’ottobre 1991 è insignito dal governo italiano dell’onorificenza di grande ufficiale, mentre nel dicembre 1991 il Senato Italiano approva un vitalizio annuo, che Perlasca rifiuta.
Giorgio Perlasca muore il 15 agosto del 1992 ed è sepolto nel cimitero di Maserà, a pochi chilometri da Padova. Ha voluto essere sepolto nella terra con al fianco delle date un’unica frase: “Giusto tra le Nazioni”, in ebraico. La medaglia d’oro al merito civile, ricevuta nel giugno 1992, recita nella sua motivazione: Nel corso della 2a guerra mondiale, con coraggio non comune e grave rischio personale assumeva la falsa identità di un Ambasciatore spagnolo per salvare migliaia di persone ingiustamente perseguitate, impedendone la deportazione nei campi di sterminio e riuscendo, poi, a trovar loro una provvisoria sistemazione, malgrado le notevolissime difficoltà. Nobile esempio di elette virtù civiche e di operante umana solidarietà. Budapest 1944 – 1945.

«Oggi è un eroe nazionale e un fiore all’occhiello per tutti. Ma è anche un po’ martire, per via del silenzio in cui ha vissuto. […] È stato anche faticoso farglielo raccontare, non si era mai sentito preso sul serio, aveva interiorizzato la tragedia, era troppo grossa da raccontare l’impresa, un po’ come dire “ho visto i marziani”, e lui li aveva visti davvero».
(Giovanni Minoli)

a cura di

Francesco Barbariol