A volte basta un carattere per distinguere una persona da un’altra, o anche per dividere, per additare ed escludere. C’è un carattere che è diventato tristemente famoso in questi ultimi anni e che tutti noi abbiamo imparato a conoscere.
Credo che anche voi, Rover e Scolte, lo abbiate visto e forse vi siete soffermati a riflettere. Parlo della lettera Nun dell’alfabeto arabo, il carattere ن che corrisponde alla nostra n. Nei territori di Siria e Iraq conquistati dal fanatismo religioso degli appartenenti alle bande dell’Isis tale simbolo viene da tempo usato per marchiare le case e i terreni dei cristiani locali. Serve per distinguere tra i fedeli all’Islam e i reietti cristiani, i “Nazareni”. Un po’ come accadeva in Germania durante il Nazismo nei confronti degli Ebrei, delle loro persone e delle loro proprietà.
E, dopo la marchiatura, spesso seguono razzie e distruzioni e i cristiani che sopravvivono devono fuggire e mai più tornare. Da un paio d’anni questa notizia si è diffusa e da allora vediamo moltiplicarsi la presenza della lettera Nun ad accompagnare i profili Twitter, Facebook, ecc., di tante persone. In tanti, nella tranquillità della nostra civiltà, hanno pensato di prendersi a carico questo simbolo per dire a tutti che “anche io sono Nazareno, anche io sono cristiano”. E per appoggiare, anche solo con un pensiero, chi soffre per la sua fede. Certo per noi è più facile. Qui non siamo perseguitati. Magari un po’ presi in giro, a volte additati dai nostri amici e compagni che si pensano più intelligenti e liberi perché non credono in Dio, ma non siamo perseguitati.
Non ci viene tolto il lavoro; in Italia a scuola possiamo anche portare la croce al collo (in Francia è vietato); possiamo acquistare case ed avere beni.
Ancora viviamo in una civiltà cristiana dove esistono cimiteri contrassegnati da croci (anche se in qualche luogo qualche sindaco aveva provato a rimuoverle all’ingresso del recinto sacro); ancora possiamo sposarci in chiesa e il nostro matrimonio vale anche per lo Stato; ancora possiamo battezzare i figli e fare festa. Il nostro è un tempo e un luogo buono per i Nazareni. Nella storia non è sempre stato così e quello che vediamo accadere ora in oriente è successo anche qui, nella civile Europa. E non solo al tempo delle persecuzioni cristiane. Ci sono state lotte di religione che hanno diviso i popoli cristiani anche pochi secoli fa. Ancora oggi in certi luoghi del nord e nord est europeo non sono ben viste Messe e professioni religiose cattoliche e i cristiani invece di portare in evidenza una croce spesso usano come immagine l’Ichthus, il simbolo del pesce usato anche nell’antica Roma dei primi cristiani. Ichthus, acronimo delle parole I (esous) – CH (ristos) – TH (eou) – U (ios) S (oeter): Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore.
Ichthus che in greco vuole dire pesce e che nelle catacombe era disegnato per rappresentare il Messia. Simbolo clandestino e usato per permettere l’incontro tra cristiani: si racconta infatti che quando un cristiano incontrava uno sconosciuto per strada potevano riconoscersi tra di loro come cristiani se uno disegnava un arco per terra e l’altro lo completava disegnando un arco opposto formando la figura stilizzata del pesce. Quindi nella storia ci sono caratteri che hanno accompagnato e accompagnano la nostra fede, ma questi simboli, questi segni scritti, queste icone non hanno nessun valore se il portatore non dà a loro il senso. Queste immagini chiedono di essere scritte principalmente nei nostri cuori; chiedono di essere segno dell’evangelizzazione del nostro cuore. Ci vuole carattere per credere, ci vuole forza d’animo, ci vuole tempo e preghiera per credere al Vangelo; poi ancora più forza per passare la Buona Novella a chi ci sta vicino, per raccontarla con un sorriso e a testa alta, per donarla ai cuori lontani.
Allora i caratteri che raccontano la nostra fede saranno simboli vivi e segno di speranza. Reietti dal mondo, forse, ma identificati come credenti nel messaggio più bello e più dolce che potesse arrivare sulla terra. Additati, forse, ma contrassegnati senza equivoci come seguaci e fratelli di Cristo. È tutta una questione di carattere. Semplice e complicato.

Monica D’Atti