Ezechiele Ramin è stato un missionario. Ha scelto di vivere con i deboli e gli oppressi per portare loro la speranza di una vita migliore.
Nel fare questo, da uomo attento e intelligente qual era, sapeva bene che avrebbe rischiato la propria vita, ma non per questo rinunciò, né cercò scappatoie. Perché, disse: “Se Cristo ha bisogno di me, come posso rifiutare?” Non è forse questo fare la volontà di Dio?”
Ezechiele nacque a Padova, nel 1953 da una famiglia numerosa e modesta. Cominciò ad interessarsi al problema della povertà già mentre frequentava il liceo ed aderì all’associazione “Mani Tese” (che ancora oggi sostiene progetti di cooperazione e sviluppo orientati ad un ordine economico internazionale basato su giustizia e sostenibilità) organizzando campi di lavoro a sostegno dei progetti promossi dall’associazione.
Nel 1972, a diciannove anni, cominciò la sua avventura missionaria entrando a far parte della congregazione dei “Missionari Comboniani del Cuore di Gesù”. Dapprima come studente e poi come missionario vero e proprio, iniziò a viaggiare spostandosi a Firenze, a Milano, e poi a Chicago (dove frequentò l’università) e nel South Dakota (USA) dove ebbe le prime esperienze missionarie con un gruppo di nativi americani impoveriti. Nel 1980, tornò a Padova, dove fu ordinato sacerdote. Quindi fu assegnato ad una parrocchia di Napoli, dover rimase per poco tempo perché si prodigò per aiutare le vittime del terremoto dell’Irpinia. Rientrato a Napoli organizzò una delle prime manifestazioni pacifiche contro la Camorra, e successivamente fu inviato in provincia di Foggia dove rimase fino al 1984, quando fu assegnato a Cacoal, in Brasile.
Qui avrebbe incontrato una situazione molto difficile, che destava in lui non poche preoccupazioni.
Si trattava di assistere i molti piccoli agricoltori che erano costretti a lavorare per i grandi latifondisti con metodi oppressivi. Allo stesso tempo, avrebbe dovuto occuparsi della delicata situazione che coinvolgeva i “Surui”, una tribù di indios da poco obbligata a diventare sedentaria dal governo brasiliano.
Tutto ciò generava un clima molto teso, che spesso sfociava in atti di violenza, nonostante i continui tentativi di Ezechiele di guidare le popolazioni oppresse ad una condizione migliore facendo uso solamente di strumenti pacifici.  Biografie_2La tensione nella regione era tale che nel 1985 fu minacciato di morte e le lettere che scriveva alla famiglia erano cariche di preoccupazione sulla possibilità di riabbracciare i suoi cari. Nonostante i richiami all’attenzione da parte dei suoi superiori, il 24 luglio 1985 decise di partecipare ad un incontro con i piccoli agricoltori, per cercare di dissuaderli dall’imbracciare le armi contro i latifondisti.
Quella sera stessa, rincasando cadde in un’imboscata e fu barbaramente ucciso da dei sicari e poi vegliato per 24 ore da alcuni indios, in attesa che altri missionari potessero recuperare la salma.
Si dice che poco prima di morire, Ezechiele rivolgendosi ai sicari abbia sussurrato: “Vi perdono”.
Numerosi sono i tributi che sono stati rivolti ad Ezechiele negli anni successivi, facendone un simbolo della non-violenza e della speranza per i deboli e gli oppressi. Giovanni Paolo II, pochi giorni dopo la sua morte, lo definì un martire della carità.
I missionari comboniani stanno cercando di promuovere il riconoscimento di Ezechiele come martire e quindi come beato e santo, anche se per le popolazioni che l’hanno conosciuto Ezechiele è già un santo.

Se siete interessati ad approfondire la storia di Ezechiele:

  • “Testimone della speranza – lettere dal 1971 al 1985” (176 pagine, ed. Rete Radié Resch di Quarrata) libro del 2000 curato da Ercole Ongaro e Fabio Ramin. L’autore del libro, che raccoglie sue lettere e scritti dal 1971 al 1985, è Ezechiele Ramin stesso.
  • “La casa bruciata” (diretto da Massimo Spano, con Giulio Scarpati, colonna sonora di Ennio Morricone, prodotto dalla RAI), film per la televisione del 1998 ispirato alla vita di Ezechiele Ramin.

Curiosita dal Web

Intervista a due miti del survival americano:
Tom Brown, Jr. e Larry Dean Olsen
www.hollowtop.com/spt_html/interview.htm
Ovviamente il survival è cosa ben diversa dallo scoutismo, ma questa risposta è interessante e, credo, applicabile anche per noi.

Biografie_3Che c’è nelle tecniche e nella vita survival che arriva fino al nocciolo delle persone e le aiuta a cambiare la loro vita?
Quando tornano a casa… i ragazzi si trovano bene più o meno con tutti. Non sono più dipendenti da pochi amici e sempre e solo quelli.
Sono persone indipendenti e possono scegliere in base a chi sono LORO, non quello che la massa vuole che facciano. Non so se questo risponde alla domanda o no, ma è quello che vedo.

Francesco Barbariol