Qualche giorno fa un amico condivideva con me una sua riflessione e con un po’ di tristezza proponeva paragoni storici con il tempo della decadenza dell’Impero Romano quando, con le pietre delle strade, fecero castelli distruggendo le vie di comunicazione e di scambio culturale e commerciale.
Anche oggi sembra che le demolizioni non abbiamo mai fine e se ci guardiamo intorno con occhi un po’ svegli non possiamo non accorgercene. Quanta devastazione in territori e città abitate da secoli da gente che vi è nata da generazioni; luoghi nutriti da stili di vita e relazioni familiari e sociali caratteristiche e peculiari.
Vediamo sempre nuovi focolai di guerra che ogni giorno uccidono e devastano questi luoghi, questi molti luoghi. Cosa c’entra tutto questo con il tema del lavoro? Così approfondisco il pensiero e medito su quante persone oggi in Italia hanno perso il lavoro e sopravvivono nei luoghi dove per generazioni i loro antenati hanno lavorato la terra, edificato chiese e palazzi, costruito strade.
Penso all’invasione della finanza virtuale, allo stritolamento tra tasse e servizi non corrisposti, all’essere alla mercè di manager incapaci e presuntuosi e di politici ignavi. Un’altra guerra si combatte nei nostri territori apparentemente in pace.
Alla radice lo stesso problema. L’incapacità di tanta parte degli uomini di essere partecipi della Creazione. Chi imbraccia un’arma lo fa perché non ha voglia di maneggiare un aratro e pensa di aver trovato via più facile e redditizia, chi si mette a sedere su una poltrona a muovere i soldi degli altri o ad organizzare il lavoro e la vita degli altri lo fa perché non ha voglia di camminare sul campo e seminare. Forse scrivo in termini molto stringenti e un po’ crudi, ma la realtà ci racconta questo. Il Signore ha creato il mondo e poi ha fatto l’uomo e lo ha posto in un giardino bellissimo. Il giardino fatto da Dio non ci bastava e volevamo capire di più (questo desiderio, questa possibilità, questa potenzialità donataci credo faccia parte del mistero di Dio).
Quel giorno abbiamo ceduto al nostro orgoglio credendo di poter essere come Dio. Allora Dio ci ha messo alla prova, come fa un padre: “Vuoi essere simile a me? Va bene, provaci. Ti consegno la terra, prosegui tu la creazione, lavora come ho fatto io per 6 giorni, riposa il settimo e riprendi il giorno dopo. Prova a ricreare il giardino che hai lasciato… hai visto come era bello… Vediamo come te le cavi. Io ti sarò sempre vicino”. E così ci siamo ritrovati con l’aratro in mano e una terra da dissodare.
Un lavoro da dio per vocazione e un’intelligenza da uomo per strumento. E di questo intelletto iniziale che cosa ne abbiamo fatto? Deformato dalla furbizia, annebbiato dalla pigrizia, violentato dall’egoismo, il nostro ingegno scivola nei meandri del mondo a deformare la creazione, ad asservirla e non curarla, a distruggerla e non completarla.
Secondo voi oggi chi partecipa di più alla creazione? Il titolare di una piccola ditta che ogni giorno tiene aperto il luogo e permette un lavoro dignitoso anche solo a poche persone oppure il grosso manager che sposta capitali in denaro e “capitali” umani da un posto all’altro dove più gli conviene quel giorno, per poi muoverli di nuovo, soldi e uomini, il giorno dopo? Secondo voi chi partecipa di più alla creazione? Chi costruisce o produce ciò di cui le persone hanno bisogno o chi costruisce o produce cose delle quali si vuole che le persone abbiano bisogno? Un’altra immagine mi viene forte in mente: quella del Gladiatore che nel film torna a casa e, mentre avanza verso coloro che ama, sfiora con le mani il grano maturo. È la fine del film e accade solo quando muore. Dio invece vuole che tutto questo accada in vita, che noi viviamo di queste cose buone, che il frutto dolce del nostro lavoro possiamo godercelo anche mentre siamo qui in questo tempo che Lui ci ha donato per finire il giardino. Non facciamoci scippare questa dote.
Ci sono scelte quotidiane e scelte di vita e di stile che ciascuno di noi può fare e che dobbiamo fare. Troviamo soluzioni geniali che oltrepassino i dirigenti quando sono aridi, i politici quando sono avidi e che scuotano l’indolenza dei pigri, annullino la violenza dei terroristi, la stupidità dei dittatori e la furbizia degli inetti. Un circolo virtuoso comincia solo se qualcuno lo inizia. Prima uno, poi un altro, poi tanti altri, concentrandosi dove c’è una cosa buona per farla diventare sempre migliore. E ciò che avremo creato non dovrà essere valutato dai soldi che frutta ma dall’amore che genera… e dal Giardino che lascia intravedere.

Monica D’Atti