Nel film Il piccolo Buddha c’è una frase bellissima sulla compassione. Siddharta, il principe cresciuto nella gabbia dorata di suo padre il re, un giorno esce per strada tra le baraccopoli maleodoranti e scopre miseria, sofferenza e morte.

Cosa si può fare? – chiede pieno di angoscia al giovane servitore. – Quale può essere la soluzione?”.

La compassione” risponde semplicemente il dolcissimo giovane.

E… cosa è la compassione?”.

E qui… la splendida risposta nel film: “La compassione? Tu sei loro, e loro sono te”.

Giovanna Negrotto Cambiaso – I sentieri inesplorati

 

Comincio da qui, da questa citazione tratta da un libro che sto leggendo. Mi sembrava buona per introdurre il tema articolato e delicato della compassione. Perché credo si corra spesso il rischio di considerare la compassione solo nella sua accezione del compatire, del condividere un dolore e pensare a come l’altro sia “poverino” , allo stare vicino al nostro prossimo sofferente considerandolo anche un po’ diverso, più sfortunato e comunque differente da noi. Inviterei però a fare un salto di qualità e allargare il nostro orizzonte verso una visione più ampia e più forte.

Vorrei porre l’accento sul termine passione: l’avere passione, fuoco, attenzione verso una cosa, interesse. Da questo nasce la partecipazione, il buttarsi dentro, l’esserci. Siddharta, principe ricco di denaro e di tempo cosa poteva fare? Poteva andare in mezzo ai sofferenti e dir loro: “Poverino, come mi dispiace, eccoti un soldino per il pane di oggi”. Certo è già qualcosa, ma il giorno dopo? E tutto il resto? Anche ai piccioni si da una briciola di pane. Ma l’uomo è diverso, il rapporto tra uomo e uomo deve essere diverso. Non basta la briciola lanciata per sistemarsi l’animo e per risolvere una vita.

EDITORIALE_2Ci vuole passione, e compassione, PASSIONE INSIEME. Io e te possiamo cambiare il mondo, io e te possiamo cambiare le nostre vite e quelle di tutti. Con passione, con partecipazione e condivisione. Costruiamo insieme il posto dove possiamo vivere bene tutti, ricostruiamo la città. La soluzione non è dividere gli uomini tra chi chiede l’elemosina e chi da denaro o oggetti, ma è quella dell’unire insieme le forze per costruire il luogo dove tutti abbiano una casa e un lavoro per mantenerla e per mantenersi. Credo che a volte sia più semplice per il re (o per i politici) tenere il popolo in povertà e concedere elemosine, povera assistenza sociale, tenere gli uomini lontani dal lavoro e dalla edificazione di sé, con poca dignità di sé; uomini con poca passione. Un uomo con passione è pericolosissimo: può rovesciare un mondo. Se poi più uomini si mettono insieme e nasce la compassione non li si potrà più gestire. Quanto erano pericolosi i cristiani per l’impero romano? Tantissimo… vivevano con amore tra di loro, c’era passione di vita e capacità di condividere tutto: gioie e dolori, malattie e lavoro. Erano quasi un mondo a parte tanto potevano cavarsela sempre senza dover adorare l’imperatore e dipendere dalle sue regalie. Persone che vivevano di passione reciproca, di compassione, capaci di sostenersi e aiutarsi sempre tra di loro e aiutando anche gli altri perché sapevano che tutti si era fratelli in quanto figli dello stesso Dio: tu sei loro, e loro sono te. Un morbo infettivo terribile era quello dei cristiani. Ci vollero 300 anni perché fossero accettati… e anche perché il loro fuoco bruciasse meno. Certo ogni tanto c’era qualcuno che rovesciava il tavolo, qualche santo, qualche uomo di Dio particolarmente forte che turbava gli animi per un po’, ma anche i cristiani furono domati con il tempo. Ora tanti di noi, in questa società moderna, si professano cristiani, ma con pochi risultati. Non fanno più paura i cristiani. Sono comodi per risolvere contingenze, per sollevare i servizi sociali di un Comune dallo spendere i soldi che incassa, o per fare folklore in una processione, o per distribuire pasti dopo un terremoto. Non c’è più vera compassione, quella che brucia i ruderi della città vecchia per edificare le nuove soluzioni che servono nel presente.

Io sono te e tu sei me? No, da tempo si preferisce dire: io speriamo che me la cavo…

O forse no? Ditemi che ho sbagliato tutto, che ho esagerato… anzi, fatemelo vedere… anzi, facciamolo insieme: rovesciamo il tavolo, edifichiamo la città di Dio già qui in terra, con passione e compassione!!

 

Monica D’Atti