L’amore confuso… o l’amore scambiato… o l’amore vago… o l’amore travisato. Vari aggettivi potevano dare titolo a questo editoriale. Tante sono le parole che possono aiutarci a dare contorno a questo pensiero che proverò a circoscrivere e a condividere. Intanto parto da una domanda:

Vi capita a volte di pensare a una cosa che vi piace, che vi interessa, dicendo la amo, la adoro?
Un po’ come si dice in inglese I love, I love so much?

Avete mai pensato a quanto questa espressione sia entrata nel nostro modo di comunicare interesse invece di utilizzare parole più corrispondenti come “mi piace; così come in inglese si può dire” I like?

Non voglio arrivare a demonizzare questa particolare confusione semantica che ciascuno di noi finisce per fare nell’ uso corrente della lingua, però vorrei provare a lanciare un sasso nello stagno tranquillo del nostro quotidiano.
L’invito è quello di provare a pensare un attimo alle parole che usiamo per esprimere emozioni, pensieri, stati d’animo.
Più l’uso delle parole è vago o falsamente equivalente, sempre più alto è il rischio che ciò che esprimiamo non assuma il valore che deve avere, che il senso della cosa non arrivi. Se diciamo che amiamo un qualsiasi oggetto, possa esso essere una foto o il nostro smartphone o qualsiasi cosa ci piaccia in genere, oppure se diciamo che abbiamo amato una cosa che abbiamo fatto, tipo un  viaggio o una festa, il messaggio che lanciamo è in realtà un po’ distorto. Noi stessi rischiamo di dare alla cosa un’importanza e un valore che non c’è.

Perché è vero che nella nostra vita sono importanti cose come la passione estetica o il piacere nell’ usare un oggetto o nell’ avere un interesse intellettuale o un’esperienza divertente. Ma l’amore non è un legame con oggetti o luoghi o eventi, non è una catena! L’amore è il più potente atto di libertà dell’uomo che va oltre ogni vero vincolo terreno, oltre ogni dipendenza materiale. L’amore vero si manifesta quando siamo liberi e capaci di perdere tutto quello che qui sulla terra c’è di tangibile e possedibile per andare oltre. È per quello che dico che dobbiamo stare attenti quando diciamo a noi stessi e a i nostri amici che “amiamo” ciò che può vincolarci alla terra.
Perché un po’ alla volta possiamo finire per convincercene veramente e così avere paura di perdere oggetti o pensare di essere incapaci di vivere senza certe cose, o credere di non sopportare di  non poter avere certe comodità o certi ritmi calibrati e predefiniti nella nostra vita, i nostri riti, le cose che “amiamo”. Così quando ci sarà richiesto, a un certo punto del giorno o della settimana o della nostra vita, di aprire le ali per andare oltre, per amare veramente, non ci riusciremo. Perché “ameremo” troppo altre cose, quelle di cui ci siamo circondati.

“Adoreremo” i falsi idoli del nostro quotidiano: j’ador, I love so much, come adoro quella cosa.
Abbiamo espropriato anche questo verbo, adorare, riservato alla relazione tra l’uomo e il divino…
Amare ed adorare, espressioni proprie e peculiari dell’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio: adorerai Dio e amerai il prossimo.
Con l’adorazione riconosciamo la differenza tra noi e la divinità, con l’amore diamo concretezza al dono della vita, diamo il senso a questa nostra vita che è proprio di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati. Amarci con atti concreti, amarci con attenzioni vere, amarci dedicando tempo.

Ricordatevi le parole concrete del Vangelo:

Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato
da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete
visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.

O se preferite c’è anche l’ultima versione della Bibbia, nuova traduzione, ma la sostanza non cambia:

Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero
e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e
veniste a trovarmi.

Ecco, solo così alla fine non fraintenderemo l’Amore.

Monica D’Atti