Tu sai pregare? Io no, se ci penso bene posso dire di non esserne tanto capace. Arrivo a questa chiara conclusione soprattutto quando sento di santi e beati che passavano ore in meditazione. Avete presente quando si legge di San Francesco che si ritirava in celle anguste, in grotte e anfratti per pregare giorni e giorni senza neanche mangiare? E di San Domenico che si dice parlasse solo con Dio o di Dio? E in tempi più prossimi Giovanni Paolo II che passava ore in raccoglimento?
Io, come credo la maggior parte di noi, sono distante anni-luce da tutto ciò. C’è di buono che sembra non ci sia il desiderio di arrenderci. Lo si capisce bene scorrendo gli articoli di questo numero di Cdm. Passateli con calma, uno ad uno. Ci sono chiare tracce di costanza e speranza. Viene distintamente fuori che importante è non smettere mai di provarci: oggi, domani, dopodomani. Succede poi, con il tempo, che ti accorgi che la tua ricerca diventa essa stessa preghiera; il tuo provare e riprovare è la preghiera del cercatore.2013.B.PREGHIERA.EDITORIALE.01
Se leggiamo questo numero di Cdm quante strade ci vengono proposte? Quanti percorsi, quante soluzioni ci si aprono davanti? Tutti collegati da un semplice filo, tutti a raccontare l’unico senso: imparare a dedicare tempo al Signore perché il Signore entri nel nostro tempo. Quanto importa la formula esatta che recitiamo nei tempi della nostra giornata? Cosa serve ripetere a memoria preghiere imparate da sempre, che tutti conoscono, imparate anche da chi non crede, anche da chi non vuole più credere? Molto, può servire molto, o anche niente se non siamo lì con la testa e con il cuore, se è solo presenza o abitudine.
Spesso cerchiamo espressioni profonde e frasi ad effetto per scuotere il nostro torpore. Cerchiamo in preghiere fantasmagoriche ciò che il nostro cuore e la nostra testa non riescono a dire. La cosa funziona?
Il Signore si avvicina, o meglio, noi ci avviciniamo?
Riusciamo a sentirlo al nostro fianco?
A volte basta un semplice inizio di preghiera a labbra socchiuse: “Padre nostro, che sei nei cieli…”.
A volte ci è bastato un cielo stellato, nel silenzio interrotto solo dal fuoco che scoppietta durante una veglia notturna al campo. Poche parole per aprirci alla meraviglia della contemplazione e sentire quell’Oltre che diventa prossimo. L’infinito all’improvviso si avvicina e il cuore si gonfia di ansia “buona” e di emozione.
Abbiamo toccato per un attimo Dio. Come quell’affresco della Cappella Sistina, quando Dio e Adamo si sfiorano con il dito. L’abbiamo sentito prossimo, ne abbiamo percepito il calore amorevole. Mi torna in mente anche una scultura della cattedrale di Chartres, negli archi del portale nord: Dio crea Adamo. Adamo ha la testa appoggiata alle ginocchia di Dio che è raffigurato come Cristo; Adamo più che creato sembra che in quel momento venga consolato e accarezzato.
È un’immagine di una dolcezza potente, di una comunione fortissima.
Come fare per trattenere questa sensazione? Come rendere quotidiana questa presenza? Come riuscire così a vivere nella coscienza che siamo fatti per quella dimensione divina e il tempo che stiamo vivendo è solo un attimo, è il tempo di un viaggio, è un bellissimo momento di cammino, alla fine del quale poi si giunge alla soglia di casa, si appoggia lo zaino e si è arrivati?
Mi sa che qui è una sequenza di domande. In verità di risposte ce ne sono poche, o meglio, non sono facili, non si risolvono con poche parole e con semplici concetti. È come si diceva all’inizio. È un cammino di ricerca quotidiano costellato di insuccessi e di momenti di vuoto, di incertezze e di tristezze. A volte pregare ci potrà sembrare anche una cosa senza particolare utilità. Spesso ci verrà da considerare che in fin dei conti non è tanto importante; l’importante è agire bene, essere buoni, dedicare tempo al bene, a farlo e a pensarlo. Come Marta, che non si fermava un attimo, che preparava e apparecchiava, puliva e cucinava. Però alla fine aveva ragione Maria che si era fermata ad ascoltare il Signore. Affascinata stava ai
piedi di Gesù in sua compagnia. Aveva ragione lei in quel momento, per quel tempo. Quello era il tempo della preghiera: c’era Dio che era venuto a casa loro.
Poi ci sarebbe stato anche il tempo dell’impegno, del frutto dell’ascolto, quel tempo nel quale le cose da fare sarebbero state mosse dall’energia che l’ascolto e la compagnia del Signore avevano generato. Passare da Marta a Maria per ridiventare Marta e poi Maria.
Scegliere la cosa migliore al tempo giusto. È tra i frutti della preghiera. È la soglia della santità. È il senso di questo cammino.
Buona Strada,

Monica D’Atti