Preghiera della Sera

Al cader della giornata
noi leviamo i cuori a Te;
tu l’avevi a noi donata,
bene spesa fu per Te.
Te nel bosco e nel ruscello,
Te nel monte e Te nel mar;
Te nel cuore del fratello,
Te nel mio cercai d’amar.

Se sol sempre la mia mente,

in Te pura s’affissò
e talora stoltamente
a Te lungi s’attardò.
Mio Signor ne son dolente
Te ne chiedo o Dio mercè
del mio meglio lietamente
io doman farò per Te.

I tuoi cieli sembran prati

e le stelle tanti fior.
Son bivacchi dei beati
stretti intorno al loro Signor.
Quante stelle quante stelle,
dimmi Tu la mia qual è.
Non ambisco alla più bella,
purché sia vicino a Te.

Quante volte avete cantato questa canzone, in cerchio davanti al fuoco, sotto le stelle, al momento di salutare i vostri compagni prima di andare a dormire? E vi è mai successo di domandarvi chi possa aver scritto delle parole così semplici e al tempo stesso così perfette per esprimere la bellezza del momento in cui la giornata volge al termine, si ringrazia di quel che si è vissuto e ci si affida a Lui? Ammetto che questa è una delle mie preghiere preferite, mi trasmette una gran serenità. Mi chiedo spesso chi siano gli autori di canti e preghiere così belli e significativi e soprattutto dove trovino le parole adatte.
Don Tarcisio Beltrame, detto don Tar, ha scritto le parole di questa preghiera in una notte di veglia durante il San Giorgio del 1946. Don Tarcisio era assistente dell’ASCI (Associazione Scoutistica Cattolica Italiana) ma aveva cominciato la sua avventura nello scoutismo molti anni prima, nel 1916. Pensate che fu in Riparto assieme ad Agostino Ruggi D’Aragona, che più tardi avrebbe fondato l’AGI (Associazione Guide Italiane, 1943). Il loro capo Riparto era il conte Mario di Carpegna, che proprio nel 1916 aveva fondato l’ASCI. Erano certamente anni di grande fermento, in cui lo scoutismo rappresentava una vera e propria novità. A volerlo esploratore furono i genitori, Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi. Li avete mai sentiti nominare? Nel 2001 sono stati nominati beati da Papa Giovanni Paolo II.
Sono stati la prima coppia della Chiesa a essere beatificata.
Le parole del Papa ci raccontano il perché: “Non può più essere accettabile che venga negato il giusto riconoscimento alla santità silenziosa e normale di tanti padri e madri”.
I genitori di Tarcisio, infatti, cercarono per i loro figli le cose migliori, non le più facili, ma le più grandi, quelle che li potessero portare a gustare la vera gioia. Tarcisio decise di entrare in seminario il 6 novembre 1924, il giorno stesso in cui assieme ai suoi compagni salutava per l’ultima volta il conte Mario di Carpegna. Nel 1930 fu ordinato sacerdote e durante la Seconda Guerra Mondiale prestò servizio come cappellano militare in marina. Forse è proprio per questo che nel 1943, caduto il regime fascista, fondò a Roma due Riparti, uno dei quali nautico. La guerra però non era ancora finita ed entrato a far parte delle Resistenza fu ricercato per l’aiuto che stava dando a molti perseguitati che cercavano di scappare, specialmente ebrei. Al termine del conflitto si adoperò per far rinascere lo scoutismo cattolico a Roma e a Parma, dove aveva trascorso gli anni precedenti l’ordinazione, e fu tra gli organizzatori dei primi campi di formazione per i capi.
E torniamo a quella notte del 1946, al primo San Giorgio dopo lo scioglimento voluto dal fascismo.  Don Tarcisio compose le parole della “Preghiera della sera” e le adattò alla musica di un canto friulano “Ai preat la biele stele” (Ho pregato la bella stella). Don Tarcisio fu ancora attivo su molti fronti, fino alla sua scomparsa a 96 anni: nei Foulards Blancs, movimento che assiste i pellegrini a Lourdes; nel soccorso ai terremotati del Friuli (1976); nella scrittura, in particolare nella traduzione di “Stella in alto mare” del francese Guy de Larigaudie; nella stampa e nei campi di formazione AGESCI. Dopo aver letto la vita di don Tar, credo di aver dato risposta alla domanda che mi ero posto: per riuscire a scrivere una preghiera o un canto che lascino un segno, occorre aver vissuto la propria vita come una preghiera, pur rocambolesca o semplice che sia.
E al momento di “congedarsi” dai nostri compagni non ci saranno parole più belle  di quelle scritte da don Tar per ringraziare Dio e affidarsi a Lui.

Francesco Barbariol