Fluida e calda è la speranza, irrora il nostro corpo dandogli vita.
Ci infiamma il cuore, dà forza alle braccia, ali ai piedi, ingegno alla testa. È una dolce presenza che colora i nostri giorni con le tinte della vita.
Noi dipendiamo da essa, è l’essenza del nostro essere; in ogni respiro che facciamo c’è la promessa di quello successivo. Siamo uomini e donne fatti di speranza.
Quando a volte crediamo di averla perduta si aprono abissi nei quali sembra non esserci fondo. Poi basta un lume, una piccola scintilla, un riflesso nel buio per riprendere a sperare.
Il respiro che si era sospeso ritrova il successivo e siamo di nuovo pronti per la corsa della vita. A volte penso alla radice prima della speranza e mi viene da considerare che siamo fortunati noi cristiani.
Qualcuno che non crede potrebbe anche rinfacciarci che “ci piace vincere facile”.
Abbiamo un Dio che gioca con noi regalandoci sempre nuovi motivi di speranza.

“Infatti io so i pensieri che medito per voi”,
dice il signore: pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza.”
(Ger. 29, 11).

Lui sa, Lui sa già, come sapeva quando Giobbe si lamentava; Lui sapeva ciò che sarebbe stato dopo, quale gioia, quale nuova vita gli avrebbe regalato. Così sapeva per Sara, donna dall’impossibile destino di madre che diventa possibile tanto da generare Isacco.
Dio le regala felicità, motivo di lieto riso, come dirà Sara. E mille sono gli episodi del genere nel Libro che narra del rapporto di Dio con il suo popolo, con i suoi figli. Facile quindi vivere di speranza con a fianco un Dio così, che con colpi di Provvidenza rivoluziona il mondo rendendo possibile l’improbabile.
Noi, con il nostro pensiero da uomini, possiamo vivere con buona speranza, con quella speranza che punta alla realizzazione di qualcosa che si desidera. Poi c’è una mente divina che invece ha sempre di più rispetto alla nostra attesa, un imprevedibile che ci viene donato.
E così sappiamo che non sappiamo mai cosa aspettarci.
Questo è ciò che vuol dire vivere con vera speranza. Bellissimo è il brano biblico di Abacuc, al capitolo 3:

“Infatti il fico non fiorirà,
non ci sarà più frutto nelle vigne;
il prodotto dell’ulivo verrà meno,
i campi non daranno più cibo,
le greggi verranno a mancare negli ovili,
e non ci saranno più buoi nelle stalle;
ma io mi rallegrerò nel Signore,
esulterò nel Dio della mia salvezza.
Dio, il Signore, è la mia forza;
egli renderà i miei piedi
come quelli delle cerve
e mi farà camminare sulle alture.”

Nonostante tutto sia nero, il futuro incerto e le previsioni terribili, Abacuc sorride; è felice, sa che raggiungerà luoghi dolcissimi. Qualcuno potrebbe dire che è pazzo. Sicuramente misurandolo con razionalità e senno Abacuc sembra essere un incosciente. Tutto va a rotoli e lui esulta? Però la vera speranza è questa.
Pensate… è più vera questa speranza di quella che generiamo noi con i nostri pensieri. Perché spesso – e questo è il grosso rischio, il rovescio della medaglia – noi alimentiamo dentro di noi illusioni e sogni fallaci e gli diamo il nome di speranze.
Speriamo cose per la nostra vita che sono fantasie, miraggi. Abbassiamo la speranza come si fa con un palloncino ad elio che teniamo attaccato al cordino: invece che lasciarlo tendere verso l’alto, come sarebbe sua natura, lo tiriamo giù per portarlo alla nostra altezza.
Così la speranza a livello d’uomo diventa la semplice fantasia di cose che possiamo volere, senza pensare che può esserci altro di più alto. La speranza di cui parliamo non è desiderio: è un modo di essere, di essere pronti. Cosa che per noi scout dovrebbe essere più facile che per altri: cresciamo pronti, non è vero? Estote parati, l’inatteso dono del Signore che ogni secondo crea il mondo che è qui. Dobbiamo essere pronti ad accoglierlo per renderlo possibile nella carne degli uomini e nella storia del mondo. Questo vuol dire essere uomini e donne di speranza, raccoglitori di speranza. Noi attaccati con forte speranza alla Roccia.

Monica D’Atti