Di recente, guardando una serata del Festival di Sanremo, sono venuto a conoscenza di un pezzo di storia della televisione che ha affascianto come me altri nella redazione di Carnet di Marcia. La storia è quella di una trasmissione televisiva, ma è anche la storia di un maestro elementare, Alberto Manzi, e di più di un milione di donne e uomini che grazie a questa trasmissione e ad Alberto Manzi hanno imparato a leggere e scrivere.
Nel secondo dopoguerra, l’Italia si stava risollevando da un conflitto durissimo entrato nelle vite e nelle case degli italiani. Negli stessi anni, anche la televisione stava pian piano entrando nelle case e mai come in quel momento la sua storia si stava fondendo con quella del popolo italiano. Attraverso la televisione, le persone potevano raggiungere e partecipare ad eventi lontanissimi e fino ad allora quasi impossibili anche solo da immaginare (pensate allo sbarco dell’uomo sulla Luna!). Uno strumento così potente, lo constatiamo ogni giorno, può essere utilizzato in mille modi diversi. Ecco che nel 1960, in un’epoca in cui circa una persona su 10 non sapeva leggere e scrivere (in alcune regioni si arrivava anche a 4 su 10), per combattere l’analfabetismo qualcuno al Ministero dell’Istruzione ebbe la brillante idea di fare degli studi televisivi RAI “la grande lavagna” di una classe che andava dal Trentino alla Sicilia. Gli alunni erano i milioni di adulti che non avevano mai potuto imparare a leggere e a scirvere. Per questo la trasmissione si sarebbe intitolata “Non è mai troppo tardi”. Mancava solo il maestro. Dopo alcuni tentativi di scarso successo, il maestro elementare Alberto Manzi fu scelto come conduttore della trasmissione.
Alberto (Roma, 1924) era un biologo e un pedagogo. Terminata la guerra, aveva cominciato la sua attività scolastica con i ragazzi insegnando a Roma prima all’istituto di rieducazione e pena “Aristide Gabelli”, quindi al carcere minorile “San Michele” e infine alla scuola “Fratelli Bandiera”. Insomma, uno con la passione per l’isegnamento! Nel 1960 fu chiamato per un provino. Egli stesso raccontò di aver stracciato il copione e di aver improvvisato. Fu un successo, Alberto fu scelto e la trasmissione rimase in onda per circa un decennio. Utilizzando un grande blocco di carta bianca appeso, Alberto dapprima illustrava con un carboncino le parole che poi avrebbe insegnato a leggere e a scrivere. Una squadra di maestri e maestre distribuiti sul territorio avrebbe poi “continuato la lezione” insieme a quel milione e mezzo di persone che si stima abbiano conseguito la licenza elementare grazie a questo sistema. Persone che, come diceva don Lorenzo Milani negli stessi anni, ora possedevano uno strumento per diventare più liberi e più uguali, per difendersi meglio e gestire da sovrani l’uso del voto. Dopo la fine della trasmissione, Alberto ritornò ad occuparsi dell’istruzione dei ragazzi con la stessa passione, come testimoniano le parole contenute nella lettera che ha scritto ad una quinta elementare prima di congedarsi da loro:
Cari ragazzi di quinta,
Abbiamo camminato insieme per cinque anni. Per cinque anni abbiamo cercato, insieme, di godere la vita; e per goderla abbiamo cercato di conoscerla, di scoprirne alcuni segreti. Abbiamo cercato di capire questo nostro magnifico e stranissimo mondo non solo vedendone i lati migliori, ma infilando le dita nelle sue piaghe, infilandole fino in fondo perché volevamo capire se era possibile fare qualcosa, insieme, per sanare le piaghe e rendere il mondo migliore. Abbiamo cercato di vivere insieme nel modo più felice possibile. È vero che non sempre è stato così, ma ci abbiamo messo tutta la nostra buona volontà. E in fondo in fondo siamo stati felici. Abbiamo vissuto insieme cinque anni sereni (anche quando borbottavamo) e per cinque anni ci siamo sentiti “sangue dello stesso sangue”. Ora dobbiamo salutarci. Io devo salutarvi. Spero che abbiate capito quel che ho cercato sempre di farvi comprendere: non rinunciate mai, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, ad esser voi stessi. Siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. Vi auguro che nessuno mai possa plagiarvi o “addomesticare” come vorrebbe. Ora le nostre strade si dividono. Io riprendo il mio consueto viottolo pieno di gioie e di tante mortificazioni, di parole e di fatti, un viottolo che sembra sempre identico e non lo è mai. Voi proseguite e la vostra strada è ampia, immensa, luminosa. E’ vero che mi dispiace non essere con voi, brontolando, bestemmiando, imprecando; ma solo perché vorrei essere al vostro fianco per darvi una mano al momento necessario. D’altra parte voi non ne avete bisogno. Siete capaci di camminare da soli e a testa alta, perché nessuno di voi è incapace di farlo. Ricordatevi che mai nessuno potrà bloccarvi se voi non lo volete, nessuno potrà mai distruggervi, se voi non volete. Perciò avanti serenamente, allegramente, con quel macinino del vostro cervello sempre in funzione; con l’affetto verso tutte le cose e gli animali e le genti che è già in voi e che deve sempre rimanere in voi; con onestà, onestà, onestà, onestà, e ancora onestà, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo, e voi dovere ridarla; e intelligenza, e ancora intelligenza, e sempre intelligenza, il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa sempre riuscire ad amare, e… amore, amore. Se vi posso dare un comando, eccolo: questo io voglio. Realizzate tutto ciò, ed io sarò sempre in voi, con voi. E ricordatevi: io rimango qui, al solito posto. Ma se qualcuno, qualcosa, vorrà distruggere la vostra libertà, la vostra generosità, la vostra intelligenza, io sono qui, pronto a lottare con voi, pronto a riprendere il cammino insieme, perché voi siete parte di me, e io di voi. Ciao.
Per ascoltare il racconto di Alberto e vederlo all’opera:
http://www.youtube.com/watch?v=8OKC_BIcnBc
Francesco Barbariol