«Un passo verso la felicità lo farete
conquistandovi salute e robustezza
finché siete ragazzi, per poter essere utili
e godere la vita pienamente una volta
fatti uomini» (B.-P.).
Davanti alle molteplici situazioni che avvolgono il nostro vissuto quotidiano, davanti ad un mondo ricco di disuguaglianze, non è facile capire quale comportamento assumere. Con il proliferare eccessivo di insoddisfazione, di complessi di inferiorità, di emarginazione, di compromessi subdoli e di consenziente illegalità si rischia di creare una sottile strategia di sopravvivenza quotidiana.
Anche gli atteggiamenti critici da rimuovere all’interno della nostra cultura del consumo che propone modelli di riconoscimento sociale solo dal carattere iperprestativo, individualistico e competitivo i quali diventano ormai stili di vita. In questo contesto, mi riesce davvero difficile cercare di cogliere quale fosse lo stato d’animo di Gesù nella sua ultima cena con gli apostoli:
«Sapendo che era venuta la sua ora
di passare da questo mondo al Padre,
avendo amato i suoi che erano nel
mondo, li amò sino alla fine.»
(Gv 13,1).
In quella cena, Gesù mostra il profondo significato del donare il corpo per amore. Osserviamo un corpo “dato” e un sangue “versato”. In questo dinamismo del “dare e del ricevere” nella carne, si manifesta l’identità più profonda di Dio. Può sembrare davvero assurdo il modo di fare di Gesù, ma qui c’è tutto ciò che fa la differenza: l’Amore passa attraverso la morte di un corpo. Dio manifesta tutta la follia del suo Amore attraverso un corpo donato esclusivamente nell’amore.
L’Amore di Gesù non si ferma, a differenza del nostro modo di amare, sui limiti dell’umano, ma va ben oltre. Ha amato e continua ad amare sino alla fine delle sue possibilità umane e divine, fino allo stremo delle sue forze. È pur sempre vero che per servire il prossimo con dedizione e altruismo si necessita di una efficace e graduale acquisizione della salute e della forza fisica. Baden-Powell affermava che «la vita all’aperto è la vera meta dello scoutismo e la chiave del suo successo…. Noi non siamo un club, né una scuola domenicale, ma una scuola dei boschi», per cui nulla di valido può essere imposto dall’esterno se non c’è il coinvolgimento diretto della persona amante. La formazione fisica è, in qualche modo, la naturale conseguenza dell’applicazione di un metodo, fondato sulla responsabilizzazione della persona che conscia di sé dona se stessa per la salute dell’altro suo simile.
Non si può restare inermi di fronte al grandioso ed esemplare gesto di un corpo donato per amore! Proprio perché Gesù vuole introdurre gli apostoli a quella vita di felicità, che è del Padre e dove egli stava facendo strada per il ritorno. Per questo afferra la sua vicenda nel pane e nel vino e in questi due umilissimi segni del creato nasconde il suo sublime “testamento d’Amore”, consegna ai suoi apostoli e ai posteri il suo corpo, la sua forza, la sua salute. Non possiamo di fronte a questo delicato e squisito gesto chiederci: ma perché tanta follia? Perché vuole far vivere ad ogni uomo qualcosa della sua interiore felicità, del permanere sempre con lui e, lui e il Padre, sempre con noi uomini.
Ora, di fronte a quanto ci accade attorno, mi chiedo spesso se anche noi abbiamo davvero imparato a conoscere il corpo, a percepire la consapevolezza dei limiti di questo ed anche a realizzare un rapporto positivo con tutto quanto si riceve nella storia come dono di Dio. Mi accorgo anche di una diffusa incapacità di stupore e di contemplazione che c’è nel mettersi davanti al mistero dell’uomo, posto da Dio al centro della creazione. Se guardassimo l’umanità, con uno sguardo puramente contemplativo, il corpo diventa motivo di ammirazione rispettosa, che infondendo serenità, concordia e pace, genera anche nuove possibilità di “convivialità delle differenze” (don Tonino Bello).
Risulta facile ora comprendere la dinamica del corpo donato come la massima espressione, pur segreta e nascosta, della vita: solo nel donarsi la vita si esalta. L’esperienza quotidiana delle nostre relazioni ci dovrebbe rendere consapevoli che, in ogni gesto “feriale”, come è tragicamente possibile un logoramento deludente nei sacrifici richiesti, così è indispensabile, se si vuol bene all’altro, “anticipare” il sacrificio, trasformando l’inevitabile fatica del vivere quotidiano in un volontario “spezzarsi per darsi”. Si può, dunque, mettere amore nel dono che si compie, come è possibile donarsi per amore per far crescere ogni relazione nei rapporti interpersonali. Infatti, nell’amore si cresce sempre e si procede sempre verso l’altro, così come l’unità nell’amore pur essendo progressiva, ha di fronte un’intesa sempre più profonda e sempre più intima.
Non possiamo dimenticare, alla luce dell’esempio di Gesù, che è proprio donando la fatica di un gesto ripetitivo e ordinario che si cresce nell’amore e si è spinti a desiderare sempre il massimo di felicità per l’altro. E ciò che si desidera per l’altro, anche se non siamo coscienti, è sempre Dio. Per questo, donarsi nella vita, vuol dire anche introdursi reciprocamente nella conoscenza intima di Dio, come ha fatto Gesù, nella sua ultima cena, verso tutti e ciascuno. E, l’intimità di Dio, non va dimenticata, altro non è che la vita felicemente vissuta:
«Questa è la vita eterna: che conoscano
te, l’unico vero Dio, e colui che hai
mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3).
Questa è la nostra vita: “conoscere” Dio sempre più intimamente e comunicarsi attraverso il dono del corpo del Verbo, perché si possa nella reciprocità donare solo amore. Infatti, “risorgere” è voce del verbo amare.
Don Nik