Genesi 1,2-8
Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono.
Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo.
Il Signore disse: “Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”.

Credo che questo sia uno dei brani più conosciuti, e forse più enigmatici, della Bibbia.
Chi non ha mai sentito parlare, almeno una volta, della “torre di Babele” e chi non si è domandato, almeno una volta, “ma perché”?
Perché questa confusione di lingue?
Perché questa incomunicabilità fra i popoli?
Perché Dio si è scomodato e si è dato da fare per provocare tutto questo “casino” solo per una torre?
Può Dio agitarsi per così poco?

PERICOLI
Ma questo brano, proprio questo brano, ci vuole raccontare di un Dio così schierato dalla parte dell’uomo che non potrà mai accettare che noi, suoi figli, rischiamo di spendere tutta la nostra vita dietro a cose stupide e piccole, mossi solo dalla paura.
Questo brano ci racconta di un Dio così “Padre premuroso” che non accetterà mai che anche solo uno dei suoi figli inizi ad essere trattato soltanto come un oggetto, come uno strumento, come un ingranaggio (sacrificabile e sostituibile) di un progetto più grande. Ci sono infatti almeno due pericoli, insiti nel nostro vivere ed operare sulla terra, da cui questa parola ci mette in guardia e che Dio sempre combatterà:

A) il pericolo di volersi “FARE UN NOME”
Il rischio di spendere tutta la nostra vita dietro ad un sogno, ad un‘illusione.
Il rischio reale e concreto, che il Signore vede e conosce bene, di usare tutti i nostri doni, le nostre capacità e competenze, il nostro tempo e le nostre energie nel tentativo di voler fuggire dalla nostra precarietà e fragilità creaturale che sempre ci accompagna.
Il desiderio di “farsi un nome” è il tentativo di essere diversi, la voglia di diventare grandi e rispettati, solo per fuggire dalla “paura di disperderci”, di scomparire a causa della nostra piccolezza.

B) Il pericolo della “SPERSONALIZZAZIONE” (o, se preferite, dell’ omologazione)
Che prende il via nel momento stesso in cui s’inizia a guardare gli altri non per il mistero che sono ma per ciò che possono dare, per il ruolo che possono avere nel progetto che ci siamo fatti e che ora sta già strutturando tutte le dimensioni della vita, anche (e soprattutto) le relazioni che viviamo. Per una torre servono ingegneri, manovali, muratori, e non importa quali siano i loro nomi e le loro storie… Sarà poi un caso che il racconto della torre di Babele sia preceduto proprio dall’annotazione del passaggio dell’uomo dall’uso della pietra a quello del mattone, dall’unicità intrinseca e inalienabile della pietra (infatti non si potranno mai trovare in natura due pietre uguali, identiche) all’omogeneità e uniformità del mattone (frutto solo dell’abilità e dei progetti degli uomini). Quante ideologie e dittature hanno infatti cancellato la dignità delle persone per asservirle, e sacrificarle, ai loro scopi?

SINTONIZZIAMOCI CON DIO
Davanti a tutto questo, a questa mastodontica “follia”, Dio non ha potuto fare altro che schierarsi a difesa dell’uomo scegliendo di scendere in campo, pronto a “sacrificare” anche il suo desiderio più grande (la comunione) pur di evitare la nostra rovina. Non possiamo infatti dimenticarci che il Dio che confonde le lingue di fronte al progetto della torre di Babele è lo stesso che dal giorno di Pentecoste continua a gettare ponti fra i cuori di uomini di storie, lingue e culture diverse.
Cari fratelli e sorelle scout non dimenticatevi mai che nella vita non è importante solo ciò che “sappiamo” o “possiamo fare” ma, ancor di più, il “perché” e il “per chi” lo facciamo!!
Non sbagliatevi sul “perché”…. Perché il Dio che ha a cuore il destino dei gigli dei campi e degli uccelli del cielo non potrà mai accettare che un suo figlio possa perdersi in folli progetti di grandezza solo perché, nella sua piccolezza, ha dato credito alla paura.
Lui non accetterà mai che voi viviate come se non foste preziosi, come se Lui non esistesse, come se non fossero già le sue cure a garantirvi la vita e il futuro.
Non sbagliatevi sul “per chi” perché se il vostro lavoro, non s’intesserà di volti e di relazioni difficilmente possederà quell’amore sufficiente e necessario a difendere la preziosità e l’unicità con cui Dio ha creato ogni cosa. È solo nella relazione, con Dio e con gli altri, che ciò che facciamo potrà trovare il suo vero senso. É solo nel servizio, semplice e generoso, che i nostri doni più belli troveranno il loro giusto utilizzo, la loro piena realizzazione.

Auguroni di buona vita, di cuore, a tutti voi.

Frate Andrea Cova