Art. 1 della Costituzione Italiana:

“L’Italia è una Repubblica democratica,
fondata sul lavoro.”

Verrebbe quasi da esclamare: “davvero????”
Eh già, in questi tempi di crisi e di disoccupazione, questo primo articolo suona un po’ come una sorta di battuta, una presa in giro o piuttosto un miraggio, una speranza illusoria che abbiamo caricato di paura per un futuro che non si riesce più a sognare.
È bizzarro come l’enunciato di un dato di fatto si sia trasformato in un’opinione.
Il lavoro non è più qualcosa che si “fa”, ma è diventato qualcosa di cui “si parla”.
Il lavoro che quando non c’è provoca ansia, tristezza e frustrazione, che quando c’è è stressante e sottopagato, che per i più è una sgradevole parentesi obbligata tra una vacanza e l’altra, l’interruzione fastidiosa di ciò che si vorrebbe realmente fare e che occupa quel “frattempo” in attesa di qualcosa di meglio. Il lavoro (o lo studio) che “è ‘na palla”, “‘na fatica”, “e vvaaai che oggi c’è sciopero!”…e non tiriamo in ballo le considerazioni su colleghi o professori….
Insomma: se vuoi trovare un argomento di conversazione condiviso inizia a parlar male del lavoro (o della scuola) e stai sicuro che sarai alla moda e al passo coi tempi: tutti ti ascolteranno e ti daranno ragione! Se poi sarai tu a proporre di occupare l’istituto o di bigiare (saltare, marinare, fare sega, ecc), sarai pure applaudito e magari anche eletto al consiglio
di classe!
Alt! C’è qualcosa che non va! Fermati!
Guarda bene ed esulta di gioia, alla facciaccia di tutti i lamentoni, hai un compito grande: il lavoro è la continuazione della creazione di Dio, è il compimento della sua volontà. Non è qualcosa che gli altri danno a te ma qualcosa che tu puoi dare agli altri!

Da: “Life’s Snags and How to Meet Them: Talks to Young Men” di Baden PowelI of GilwelI

“Il nostro lavoro diviene leggero se lo consideriamo come un gioco, in cui noi siamo i giocatori di una squadra, che giochiamo ciascuno al proprio posto e tutti insieme per il bene della squadra; e, quando ne afferriamo lo spirito, scopriamo subito che non è soltanto un gioco, ma un grande gioco.

E cos’è che rende il nostro lavoro un gioco, e non una condanna che ci viene inflitta?
È semplice: se guardiamo al nostro lavoro solo per il guadagno che possiamo trarne e lo facciamo perché dobbiamo farlo, finiremo col tenere gli occhi sull’orologio e col contare i gesti della nostra routine, continuamente oppressi dal senso della nostra schiavitù.
Appena consideriamo le cose dal lato opposto, cioè vediamo cosa possiamo mettere nel nostro lavoro, ci appassioniamo ad esso e invece di doverlo fare, ci troviamo a volerlo fare. Allora possiamo affrontarlo allegramente, col sorriso. Quando uno affronta il lavoro col sorriso, tutte le difficoltà spariscono, si sciolgono via. Il lavoro diventa un piacere, davvero un gioco.

(…) Quando un giovane prende la sua carriera sul serio e intende ricavarne ciò che può per se stesso, ciò non farà del suo lavoro un piacere o un gioco: egli non riuscirà a “sfondare” in direzione di un reale successo, rimarrà sempre uno schiavo, se non altro della propria ambizione.

(…) Guardate al di là del lavoro che si trova sulla vostra scrivania o sul vostro banco, e consideratene i risultati futuri per gli altri. Fate bene il vostro lavoro pensando a loro. É il servizio degli altri, con i suoi orizzonti più ampi, che porta con sé la migliore ricompensa.
La vostra soddisfazione sarà il miglior successo. Dea Ignee ha detto: “Non è il lavoro o il tipo di lavoro, ma lo spirito con cui esso è fatto, che lo rende libero o servile, onorevole o degradante”.

(…) Mi ricordo un giovane meccanico che, quando giunse dal sindacato l’ordine di scioperare, disse: “Come posso andarmene lasciando a metà un lavoro come quello che sto facendo?”. Egli si trovava nella situazione invidiabile – e raggiungibile – di colui che è innamorato del proprio lavoro.

(…) Ognuno di voi ha la possibilità di scoprire, nel suo lavoro, quel 5 % di divertimento.
Scacciate le routine dal vostro ufficio, dalla vostra bottega, dalla vostra fattoria o dalla vostra scuola, facendo del vostro posto di lavoro un campo da gioco, amando il vostro lavoro e mettendo nella vostra professione tutto quanto potete per gli altri, invece di trarne fuori il massimo vantaggio per voi stessi.”

Aline Cantono di Ceva – Comissaria Nazionale Scolte