Sono nato a Roma nel novembre 1971. Fin da piccolo sognavo di fare il giornalista. Nel 1996 ho iniziato a collaborare con una serie di giornali e riviste, fino a quando – nel 1997 – la Radio Vaticana mi ha ammesso ad uno stage: il rapporto andrà avanti fino al 2005. In quegli anni, c’è stato anche spazio per l’esordio televisivo sugli schermi di Sat 2000, per poi passare nel 1998 alla Rai dove mi è stato affidato il programma “Giubileo 2000”.
Ho presentato diverse Giornate mondiali della Gioventù, vari incontri del Papa e molteplici iniziative di solidarietà. Nel 2007 ho anche condotto Telethon, maratona tv per la ricerca scientifica, con cui collaboravo già dal 2001. Ma l’impegno nella solidarietà è stato una costante di tutta la mia formazione, caratterizzata da attività di volontariato in vari ambiti.
La mia attività politica in Parlamento si è concentrata soprattutto sugli ultimi, nel senso evangelico del termine. Mi sono occupato di immigrazione, di povertà, di cooperazione internazionale, di rispetto dei diritti umani e di parecchie altre cose, ma quella che ha avuto più visibilità è stata la proposta di legge sulla cittadinanza. Diverse mie altre proposte di legge sono bipartisan.
Ho cercato di interpretare il mio mandato come un servizio: assiduità e passione nel collegio elettorale, trasparenza nei conti, comunicazione continua in tempo reale di tutto quello che accade alla Camera.
Dopo gli anni in Parlamento, ho ripreso a lavorare come giornalista ed esperto di comunicazione. Collaboro con numerose testate inoltre mi occupo della comunicazione per le scuole dei gesuiti in Italia e in Albania. Sono sposato con la giornalista Solen De Luca e padre di due figli: Mattia ed Assia. Ho un fratello, Vanja, nato in Bielorussia: ha 24 anni e fa il volontario nella comunità Nuovi Orizzonti, fondata da Chiara Amirante.

1. Che valore ha per lei la “Legge Scout”? In che modo riesce a testimoniarla all’interno del suo ambiente quotidiano?

La legge scout è, consapevolmente o inconsapevolmente, un fondamento nella mia vita.
E parto dall’inizio, da quel “meritare fiducia” che per uno scout è questione d’onore. Meritare fiducia, nella formulazione originale, era “to be trusted”, e per “essere creduti” bisogna innanzitutto “essere credibili”. Vale per un giornalista, per un politico, per un padre di famiglia, per un marito, figlio, per un fratello, per un amico: in ognuno di questi ambiti, io ho sempre posto il mio onore nel meritare fiducia.
La fiducia degli altri, per me, è sempre l’onore più grande. Negli anni in Parlamento, ho sperimentato con gioia la fiducia di molte persone che non la pensavano come me, ma mi giudicavano credibile.
Al meritare fiducia è naturalmente legata la lealtà, qualità che oggi è poco redditizia. Io l’ho sempre separata dalla fedeltà, qualità che invece nella politica di oggi è molto in voga, e ne sono sempre stato molto geloso. La lealtà fa pagare dei prezzi, a volte anche alti, ma poi ti aiuta quando ti guardi allo specchio. Con la lealtà tutto è possibile, anche quando si parte da posizioni lontane, perché la lealtà è costruttiva. La lealtà è una dimensione dell’amore per l’altro (mi viene in mente 1 Cor 13: “la carità… si compiace della verità”), e secondo me anche del rispetto per se stessi. Ci sono poi altri aspetti della legge scout che caratterizzano la mia vita: l’essere “laborioso ed economo”, che significa – anche nella gestione del reddito familiare – non perdere mai il contatto con la realtà, avere un rapporto sano con le cose, non dipendere mai dalla ricchezza, insegnare ai propri figli l’amore per il lavoro, l’amore per la natura e gli animali, l’attenzione all’altro, e dunque al servizio, che mi viene naturalmente dalla mia formazione cristiana e che ha costituito una costante della mia storia. Poi ci sono altri punti della legge scout che invece faccio fatica a mettere in pratica, ma che restano sempre un obiettivo: penso soprattutto alla capacità di obbedire, quando invece sei un testardo presuntuoso come me, e a quella di sorridere e cantare anche nelle difficoltà, quando invece sei portato a condividere con tutti i tuoi dolori.

2. Spesso la gente ha un’idea molto negativa dell’ambiente politico. Lei che ha avuto modo di viverlo da vicino che impressione si è fatto?

La politica in sé è una cosa bella, molto bella. È una sfida a cui siamo chiamati tutti, anche se non tutti siamo portati. Faccio un esempio: io odio le assemblee di condominio, non ci andrei nemmeno sotto tortura, ma ora nel mio condominio c’è un problema serio – una signora con disabilità mentale, che ha bisogno di aiuto e che, naturalmente, crea anche qualche difficoltà di convivenza – e io me ne sono preso carico, dialogando con gli altri condomini. Ecco, questa è politica. Non c’è bisogno di essere eletti in Parlamento per fare politica: BASTA PRENDERSI CURA DELLA POLIS (del proprio contesto sociale, piccolo o grande che sia), e questa è una chiamata che – come dicevo – riguarda tutti noi. Quando rimane volontariato, servizio, e non sconfina nel trittico fama-potere-denaro, tutto è più facile; poi, quando entrano in gioco le altre variabili, il rischio di inquinamento è altissimo. L’ambiente politico che ho conosciuto da vicino, e che continuo a frequentare come giornalista, è purtroppo corrotto da questo trittico, senza distinzioni di schieramento: non è questione di partiti, ma di persone, e ci sono – da una parte e dall’altra – quelle capaci di resistere alle tentazioni e quelle più deboli. L’importante è non buttare il bambino con l’acqua sporca: è come se smettessi di guardare le partite di calcio perché sono contrario al giro d’affari che c’è dietro. L’ambiente politico non è un totem, si può cambiare: basta che le persone più solide e più motivate da fini nobili si impegnino, e lo “invadano”: per dirla alla Martin Luther King, è il silenzio dei giusti il problema più grande.

3. Se potesse applicare un aspetto del metodo scout in Parlamento quale sceglierebbe?

Intervista_2La collaborazione tra diversi, l’aiuto reciproco, il superamento delle barriere. Se in Parlamento i più esperti insegnassero ai nuovi, anziché vederli come concorrenti, si lavorerebbe meglio; se le diverse forze politiche cercassero i punti di incontro, anziché quelli di scontro, si perderebbe meno tempo per la propaganda e magari si porterebbe a casa qualcosa di più. Come scrissi l’anno scorso, quando mio figlio Mattia iniziò i lupetti, “degli scout mi commuovono la dolcezza abbinata al rigore, l’idea che il gioco sia una cosa seria, i valori trasmessi con gioia, il senso di comunità intergenerazionale, il non lasciare indietro nessuno, la metafora del cammino. È un’Italia che non fa mai notizia, perché non urla e forse perché il bene è sempre più banale del male, eppure che costruisce con cura dalle fondamenta. È bello e confortante ritrovarsi con famiglie che non hanno perso la fiducia, con un pezzo di società sana e propositiva, con adulti che – tra i tempi del lavoro e quelli della vita privata – si ritagliano con i denti uno spazio di servizio ai più piccoli. Forse gli scout sono la cosa più vicina al Paese in cui vorrei vivere”.

4. Cosa consiglia ai ragazzi che ci stanno leggendo che desiderano partecipare alla costruzione del bene comune?

Di impegnarsi, cominciando dal piccolo, senza perdere di vista obiettivi grandi. Ma di farlo senza mai considerare la politica una professione, perché la mia esperienza dimostra che – soprattutto quando vieni dalla società civile, e quindi non hai una storia interna a un partito – può finire da un momento all’altro. L’importante, dal mio punto di vista, è specializzarsi innanzitutto in qualcosa, per mettere poi le proprie competenze al servizio del bene comune; farlo il più possibile al netto delle ambizioni personali (ma siamo uomini e donne di carne, quindi le difficoltà non mancano); se per un periodo dovesse divenire l’occupazione principale della propria vita, ricordarsi che è un servizio a termine (e soprattutto che è un servizio).

5. Perché ha deciso di entrare in politica e quali progetti ha contribuito a realizzare?

Avevo studiato Scienze politiche all’Università, avevo scritto una tesi (poi pubblicata da Armando editore) sull’attualità politica, avevo frequentato un master in discipline parlamentari: nella mia formazione, insomma, non era certo un tema estraneo. Ma più ancora, nella scelta, hanno pesato gli anni di volontariato e anche quelli di lavoro: nelle mie trasmissioni mi trovavo sempre a raccontare l’Italia buona, la Chiesa vicina all’altro, e questo mi ha portato a impegnarmi direttamente. Era come se raccontassi sempre la parabola del buon samaritano, senza essere mai io il buon samaritano.
Chiaramente, questo mi ha fatto concentrare negli anni in Parlamento sulle categorie più dimenticate: in particolare, mi sono impegnato molto per gli immigrati e i loro figli, ossia la generazione dei nuovi italiani, che ancora oggi non hanno una legge adeguata sulla cittadinanza. Poi mi sono occupato di cooperazione internazionale, di obiettivi sottoscritti anche davanti all’Onu ma mai rispettati dai singoli Paesi, e – in generale – di giustizia sociale.

6. Partendo da una riflessione letta sul suo blog, che riporto di seguito, mi piacerebbe conoscere un episodio della sua esperienza scout che ha contribuito a formare “l’Andrea di oggi”.
“Ho insistito io per mandare Mattia agli scout. Perché è imbranato come me, perché è tutto testa e niente fisico come me, perché è egocentrico come me. In sostanza, ho mandato lui perché non ho più l’età per tornarci io.”

Ero una schiappa assoluta nelle sfide fisiche. Ma per diventare lupo anziano c’era bisogno di una specialità “verde”, una di quelle del gruppo atletico.
Così mi sono impegnato per prendere quella di giocatore di squadra, l’unica effettivamente alla mia portata, e ce l’ho fatta. Fu un insegnamento bellissimo, una lezione sull’importanza di riconoscere i propri limiti e di provare a superarli. Se non avessi avuto gli scout, oggi sarei ancora più imbranato di quanto non sia per natura. Mi hanno insegnato ad adattarmi alle situazioni più diverse, e questo ha avuto un ruolo importante anche nella formazione del carattere: ancora oggi, spiego spesso ai miei figli quanto sia importante sentirsi a proprio agio “con zingari e re”.

7. Tornando sempre alla citazione precedente, cosa le manca maggiormente dell’ambiente scout?

La capacità – non mi fraintendete – di “staccare” dal mondo, di vivere gli stessi valori in un ambiente “pulito” e protetto. Mi manca la jungla, mi manca Mowgli, mi manca la magia di quelle storie che ora, più di trent’anni dopo, stanno affascinando mio figlio Mattia. E da quest’anno tocca pure ad Assia!

(fonte: http://www.andreasarubbi.it/?p=8744)

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