“Oh, poverino….”, “Uh come mi dispiace”, “Ahi che pena…”

Se penso alla “compassione”, non so perché, mi vengono in mete subito frasi di questo tipo.

Frasi cariche di tristezza, dette magari con il sopracciglio aggrottato, gli occhi grandi per l’incredulità della brutta notizia, gli angoli della bocca rivolti in giù, la mano aperta sulle labbra, facendo spallucce. Se visualizzo il percorso che fanno queste parole mi sembra quasi che caschino “dall’alto” verso il “basso”, dove “l’alto” sono io che sto bene e il “basso” è la persona in difficoltà. E poi mi vedo china, curva, protesa verso il “poveretto” a cui tendo la mia caritatevole mano, accarezzandogli dolcemente il capino reclinato.

Un’immagine romantica certo, ma forse un po’… molle!!!!

Provo ora ad eliminare la preposizione “com” e a lasciare il resto: mi resta la “com PASSIONE”.

È qui mi tiro su! Raddrizzo la schiena! Vengo pervasa da sentimenti forti, vigorosi, da un’energia viva, uno slancio verso fuori più che una parabola discendente. Quindi sembrerebbe che la differenza tra un occhio lucido, affranto, compassionevole e uno sguardo più vispo, passionale, stia tutta in quella parolina: “com”.

Che vuol dire “con”, qual è il modo di stare “con” qualcuno???

Ti racconto una storia: quando avevo otto anni mia mamma è volata in cielo. ‘Sto fatto l’ho tenuto nascosto per diversi anni a tutte le nuove persone che incontravo e che non conoscevano la mia situazione. Non era per un eccesso di riservatezza, era perché non sopportavo le frasi che solitamente uscivano dalla bocca di chi veniva a sapere che ero orfana di madre: “Povera bambina!”, “Oddio, non sapevo, scusami…” quel “povera” mi ha sempre provocato un brivido di fastidio, e quello “scusami” non l’ho mai capito… “scusami” de che?? Bho? Assurdo! Se ci pensi bene nel Vangelo non esistono episodi in cui Gesù si rivolge così ai suoi interlocutori che siano persone in difficoltà, poveri, disabili o peccatori… mai che abbia pronunciato parole del tipo “Come mi dispiace! Sono costernato…” ma te lo immagini! Il suo modo di consolare è tutta ‘n altra cosa: non è solo un “dire”, forse non è neanche tanto un “fare”, ma è uno STARE.

Ritorniamo alla parolina “con”… e occhio perché il segreto del Servire è tutto proprio lì.

Puoi scegliere diversi modi per stare con qualcuno che ha bisogno, di solito noi donne siamo pervase dalla sindrome della crocerossina… gli uomini invece pensano di essere utili fornendo continue soluzioni al problema… scialla ragazzi non è questo a cui siamo chiamati!

È tutta una questione di “posizioni”: rispetto al tuo prossimo tu ti puoi porre “in alto”, “in basso”, “dentro”, “dietro”, “davanti”, “di fianco”… e non sto parlando di Kamasutra.

Indovina qual è l’ubicazione giusta?

Aline Cantono di Ceva – Commissaria Nazionale Scolte