Ero ancora Aiuto, quando il Capo Clan di allora propose ai Rover del mio Clan una Route di Natale diversa dal solito. Quell’anno avremmo partecipato al “Francescout” di Assisi, un proposta pensata e organizzata dai Frati Francescani, appositamente per Rover e Scolte provenienti da ogni Associazione Scout d’Italia.
Il filo conduttore di quelle giornate sarebbe stato quello della preziosità della vita umana: ancora non lo sapevo, ma in quell’ occasione avrei scoperto storie di uomini e donne di valore, che hanno lottato contro il parere di parenti e medici per amore della vita umana. Storie di mamme a cui, per non compromettere la propria salute, era stato consigliato dai medici di abortire: storie di
bambini che, secondo il parere medico sarebbero dovuti morire prima ancora di nascere. E che oggi sono vivi, e coi loro sorrisi hanno dimostrato che non sempre la scienza è esatta. In quel momento, ho capito come purtroppo la nascita di un figlio sia stata trasformata, nella nostra società, in una performance: una delle tante dimostrazioni del proprio valore. Tanto quanto avere un profilo Facebook con tanti “Mi piace”, tanto quanto mostrare a tutti i propri “amici” le foto di serate trasgressive. In questa logica, il figlio che nasce deve essere perfetto perché va mostrato a tutti: altrimenti, semplicemente, non deve essere.
Il diritto ad avere un figlio è diventato il diritto ad avere un figlio sano e geneticamente non discostante dalla media. Questo è anche lo scopo di tutti gli esami prenatali che vengono proposti alle future mamme: e se la mamma non fa tutti gli esami, anche quelli più rischiosi che mettono a repentaglio la salute del feto, viene vista male, quasi come fosse pazza e non rispettosa del proprio bambino.
Negli Stati Uniti sono in corso processi dei figli contro le loro stesse madri, colpevoli di non aver richiesto una appropriata analisi
eugenetica per loro, o di averla ignorata. Faccio un esempio, che riguarda l’AIDS: c’è una fetta di popolazione che è immune alla malattia, proprio perché portatrice di una mutazione genetica che la preserva. Con una diagnosi preimpianto, in caso di fecondazione assistita, gli embrioni portatori di una tale mutazione genetica sarebbero eliminati, impedendo alla natura di creare una riserva di persone immuni alla malattia.
“Qual è dunque il confine tra ciò che merita di vivere e quel
che merita di morire?”
“Siamo sicuri di essere noi uomini, con le nostre debolezze e
fragilità, a poter tracciare questa linea di confine?”
Forse il nocciolo della questione sta altrove. I Paesi scandinavi presentano bassissimi tassi di aborti dovuti a diagnosi di Trisomia
21 (quella che origina la sindrome di Down, per intenderci). In quei Paesi esiste infatti una vera e propria cultura dell’accoglienza: il primo pensiero è mobilitare i servizi sociali, le associazioni e le strutture mediche per organizzare il benvenuto al mondo del bambino. C’è una politica di cura per tutta la vita delle persone handicappate, lo Stato spende le necessarie risorse per reti di sostegno delle famiglie, per la formazione di personale specializzato, prendendosi carico dei bisogni di questi malati: e il problema di non lasciarli nascere non si pone più. Forse è proprio l’accoglienza, il più potente vaccino contro la tentazione di selezionare la razza umana in base a una eugenetica della salute.
Questo esempio, e molti altri, sono tratti dal libro “Madri selvagge – contro la tecno rapina del corpo femminile”, di cui consiglio la lettura a voi Scolte, che sarete mamme tra qualche anno, e a voi Rover, cui è affidato il compito di accompagnare la vostra amata in scelte anche difficili della vostra vita. Ho conosciuto questo libro proprio grazie al Francescout, ed è stata una di quelle letture che mi hanno cambiato la vita.
Titolo:
Madri selvagge
Contro la tecnorapina del corpo femminile
Autore:
Alessandra di Pietro, Paola Tavella
Editore:
Einaudi, 2006
Massimo Pirola