Tanto per fareCapita di passare una vita “tanto per fare”. Capita di passare una vita “lasciandosi vivere”, lasciando che eventi e ore e giorni e anni fluiscano senza avere niente di particolare da fare, facendo cose che non importa fare, che non cambiano la nostra vita, che non danno senso alla nostra vita e che non servono neanche agli altri. Capita di vivere facendo cose insignificanti, dedicandoci tempi infiniti. Capita di non capire quanto tempo buttiamo via; quel tempo regalato da Dio agli uomini, affidato a ogni singolo uomo per edificare il Suo Regno. Capita di passare una vita “stando alla finestra” (ricordate Papa Francesco alla GMG?).

Capita di dare la colpa agli altri, alla sfortuna, alle contingenze sfavorevoli, alla stanchezza, alla delusione per sogni irrealizzabili. Capita allo stesso modo di raccontare agli altri che si stanno facendo cose importanti, che si stanno facendo cose uniche e fondamentali, irripetibili e storiche che altri non saprebbero fare, non potrebbero fare. Capita di essere tanto convinti di fare queste cose importanti che non si sarà più in grado di capire che cosa si sta facendo veramente e quanto vuoto e inutilità si compie. Capita così, alla fine, di perdere le occasioni per vivere veramente la propria vita, l’occasione per imboccare quella via che darà una reale pienezza, per “fare” una vita da uomini e donne.

Quando avevo 17 anni mi capitò di trovare in una biblioteca un libro, “Terra degli uomini” di Antoine De Saint-Exupéry. Conoscevo l’autore, ovviamente come tutti; “Il piccolo principe” ha cresciuto ciascuno di noi. Presi per curiosità il volume in prestito e lo divorai. Tutte le volte che ci penso, dopo anni e anni, mi viene da pensare che questo testo sia stato il mio “spartitraffico”. Si parlava di dignità dell’uomo, si parlava di vocazione, si rifletteva su come fare vita e su ciò che poteva disfare una vita. Si parlava di responsabilità coniugata nel “sentire che, posando la propria pietra, si contribuisce a costruire il mondo”. Si parlava di nobiltà del lavoro, della grandezza del fare in modo semplice e fiero il proprio dovere ogni giorno. Che tu sia un aviatore come Saint-Exupéry o uno scalpellino nel cantiere di una cattedrale, o un monaco nel silenzio del chiostro, o un agricoltore che permette al frumento di arrivare fino al mulino, per ciascuno c’è una promessa di pienezza, se non ci si perde a metà della via.

“Le vocazioni hanno senza dubbio la loro parte. Alcuni si rinchiudono nelle loro botteghe. Altri percorrono la loro strada, impetuosamente, in una direzione necessaria: ritroviamo in germe, nella storia della loro infanzia, gli impulsi che spiegheranno il loro destino. Ma la storia, letta a cose fatte, crea un’illusione. Questi stessi impulsi potremmo trovarli quasi in ognuno. Abbiamo tutti saputo di certi bottegai che, in una notte di naufragio o d’incendio, si sono rivelati superiori a se stessi. Non c’è pericolo che ad essi sfugga la qualità di pienezza raggiunta in tal caso: quell’incendio rimarrà la notte della loro vita. Ma, per mancanza di nuove occasioni, di un terreno favorevole, di una religione esigente, si sono riaddormentati senza aver creduto nella propria grandezza. Certo le vocazioni aiutano l’uomo a sprigionarsi; ma è ugualmente necessario far sprigionare le vocazioni”. Far sprigionare le vocazioni: la propria vocazione; quella di altri quando sarai un capo scout; quella dei tuoi amici o colleghi di lavoro. Far sprigionare la vocazione di un gruppo, di una comunità, di una famiglia, di un luogo. Far venire fuori le potenzialità, la bellezza, la forza, la pienezza. Gratuitamente. Senza risparmio, senza calcoli economici. Per costruire insieme, tu e tutti. Per amore dell’uomo, per amore della terra degli uomini. Cos’altro c’è da fare in questa vita se non questo? Allora sì che non sarà “tanto per fare”.

Buona Strada, Monica D’Atti