” Giuseppe Puglisi, presbitero, martire, pastore secondo il cuore di Cristo, seminatore evangelico del perdono e della riconci- liazione, che si possa sin da ora chiamare Beato”.
Con queste parole Papa Francesco ha dichiarato beato Padre Pino Puglisi, lo scorso 25 maggio, nella celebrazione che ha visto ra- dunare a Palermo più di ottantamila persone e di cui ci ha già parlato Massimiliano nel suo articolo. La sua storia a grandi linee è nota, così come il suo martirio, avvenuto per mano di alcuni mafiosi nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno. Cosa ci dice oggi tutto questo? Cosa può significare per noi? Come valorizzare la sua testimonianza nelle nostre attività? Credo che la prima cosa da fare sia conoscere meglio la vita e le opere di Padre Puglisi, per poi fare alcune riflessioni che si integrino con il nostro metodo. Documentarsi sul Beato Padre Puglisi non è difficile. Vi consiglio innanzitutto una navigazione su internet a questi due siti:
• www.padrepinopuglisi.diocesipa.it È un sito della Diocesi di Palermo specificamente dedicato al Beato;
• www.centropadrenostro.it È il sito ufficiale del Centro di accoglienza creato da Padre Puglisi.
Ci sono poi numerosi libri e film sulla figura del Beato, nei box infondo trovate alcune indicazioni più precise.
Leggendo le parole di Papa Francesco, apprezziamo sia il riferimento all’ essere vero pastore (“secondo il cuore di Cristo” e “con l’odore delle pecore”, per usare una recente e significativa espressione del Papa), sia il richiamo al martirio. In effetti Don Pino Puglisi fu un vero e proprio testimone, in un momento storico di grande smarrimento: ricordiamoci infatti che tra maggio e luglio 1992 vennero uccisi i giudici Falcone e Borsellino, e il sentimento generale degli italiani era che lo Stato fosse sul punto di perdere la partita con la mafia. Ma Don Pino (o meglio, 3P per usare l’a- cronimo con cui veniva chiamato) non indietreggiò e tenne alta la dignità dei palermitani onesti, non accettando il ricatto della mafia. Ci sono molte sue affermazioni che rimandano in maniera
abbastanza lineare alle parole di B.-P. Sentite questa, non a caso riportata con il titolo di “Ho fatto del mio meglio”.
“Bisogna cercare di seguire la nostra vocazione, il nostro progetto d’amore. Ma non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati. Si riparte ogni volta. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l’invito del Signore, camminare, poi presentare quanto è stato costruito per poter dire: sì, ho fatto del mio meglio”. O ancora questa, “Se ognuno fa qualcosa”. “Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio. Questa è un’illusione che non possiamo per- metterci. E’ soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani. Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto…”.
Sono solo frasi, ma esprimono le convinzioni intime di Padre Puglisi, quelle che lo hanno portato a dare testimonianza con la propria vita della necessità di non rassegnarsi al male e al- l’odio, perché Dio è signore della vita e con Lui tutto è possibile, anche sconfiggere la mafia. Il Beato è diventato testimone di speranza in que- sto modo, non per una fiducia ottimistica e volontaristica nelle istituzioni o in ideali astratti, quanto per il suo radicamento in Cristo, l’unico che può salvarci e ridarci la possibilità di credere.
Mi sembra che nella vita e nelle parole di “3P” ci siano molti punti affini con lo scautismo e con la nostra esperienza associativa, e vorrei brevemente condividerli con voi.
Un primo aspetto può ritrovarsi nell’ idea della vita come di un cammino da percorrere, di una strada che corrisponde ad un progetto d’amore che Dio ha preparato per noi e che ci conduce alla felicità. Ognuno di noi ha la responsabilità di guidare la propria canoa e di non fermarsi, sentendosi arrivato. Accompagniamo i nostri ragazzi, chiedendo loro di interrogarsi sul progetto d’amore che Dio ha per ciascuno di loro? Li aiutiamo a ripartire dopo ogni arrivo?
Ci sentiamo noi stessi in cammino o ci siamo fermati già da troppo tempo? Un secondo punto possiamo vederlo nell’esortare le persone a fare del proprio meglio, a mettere in gioco cioè sé stessi e a tirare fuori la propria parte migliore, le proprie capacità, che verranno messe a disposizione degli altri. Facendo così realizziamo il progetto di Dio su di noi e contribuiamo al bene della nostra comunità. Fare del proprio meglio non significa però pensare di essere ca- paci di fare tutto, di poter risolvere tutto da soli. In questo c’è la concretezza di un pastore che sa che i cambiamenti non si improvvisano, ci vuole tempo e non bisogna illudersi né illudere gli altri. La prima esperienza pastorale di don Pino si racchiude proprio nello sforzo, prolungato nel tempo e infine premiato dai fatti, di ricomporre una comunità divisa e falcidiata da lotte per il controllo del territorio.
Tanti altri sono gli spunti che possiamo trarre dall’ esperienza del Beato Pino Puglisi, principalmente per la nostra riflessione personale. Ma anche, perché no, anche le possibilità di utilizzo per le nostre attività, a partire dalle presentazioni all’ alzabandiera o in cerchio agli incontri per Capo e Capi, o ancora a momenti di confronto con i genitori.
Pier Marco Trulli