“Non esiste buono e cattivo tempo…”

La vita all’aperto, prevalentemente in ambienti naturali (ma anche alla scoperta delle città) è una delle pietre angolari su cui si fonda la formazione Scout. Essa ci offre, a tutte le età, la possibilità di scoprire le relazioni che legano gli elementi di un ambiente, del ruolo che in esso è chiamato a giocare l’individuo e di riconoscere l’uomo come parte di un unico disegno di Dio Creatore.
“Il campo Scout è la parte gioiosa della vita di uno Scout. Vivere fuori, all’aperto, tra montagne ed alberi, tra uccelli ed animali, tra mari e fiumi, in una parola vivere in mezzo alla natura di Dio, con la pro- pria cassetta di tela, cucinando da sé ed esplorando: tutto questo reca tanta gioia e salute, quanta mai ne potrete trovare tra i muri ed il fumo delle città” (Scoutismo per Ragazzi).  Lo “scouting” è esplorazione cioè ricerca: ricerca avventurosa che immette il ragazzo su un cammino all’ interno di due grandi realtà, la comunità e la natura. L’obiettivo è quello di portare l’individuo alla scoperta di sé per permettergli di raggiungere un equilibrio interiore che a sua volta consente di sviluppare l’autovalutazione, l’autoeducazione e l’autocontrollo all’ interno di una dimensione che ormai è profondamente diversa da quella vissuta quotidianamente all’ interno dei nostri confortevoli “recinti di cemento”. Il fine della vita all’ aperto non è però l’evasione dalla quotidianità, bensì lo sviluppo di abitudini, virtù e talenti che possano essere messi a frutto nella vita di tutti i giorni.
“Non esiste buono e cattivo tempo, ma solo buono e cattivo equipaggiamento” non significa semplicemente essere pronti ad affrontare il freddo e la pioggia. Nella nostra ottica significa estendere il concetto alla dimensione integrale della vita: ad esempio affrontare la dimensione dello studio o del lavoro consapevoli che la riuscita in questi ambiti può dipendere proprio dall’“equipaggiamento” e dalla preparazione che ci siamo costruiti. Per starsene fuori nel bosco, con carta e bussola, occorre stabilire da soli che tragitto percorrere esercitando così autonomia e decisionalità.

Il desiderio di giungere in fondo ad un percorso, malgrado le difficoltà che si possono incontrare, è un esercizio di volontà che può avere il suo immediato riflesso nell’ attitudine della persona all’ attenzione e alla perseveranza. Leggere il territorio attraverso i suoi punti di riferimento può significare domani una maggiore capacità e abitudine di leggere gli avvenimenti e la realtà che ci circonda attraverso precisi punti di riferimento “valoriali”.
La scoperta progressiva della bellezza della natura e della vita all’ aria aperta, ma anche delle sue difficoltà, si attua poi in una dimensione che non è quella del semplice confronto dell’individuo con essa: è un confronto all’ interno di una comunità (cerchio/branco, riparto, fuoco/clan) con le sue regole e i suoi ritmi, dove emergere la responsabilità del fratello maggiore nei confronti del più giovane.
Affrontare i boschi insieme aiuta a vincere le paure, regolare il proprio passo su quello del più lento o del più impacciato trasposto in un’ottica più ampia significa abituarsi a prestare attenzione ai bisogni dei più deboli nella società. La vita all’ aperto è il luogo tipico e insostituibile dell’avventura Scout con tutta la sua simbologia (la tenda, il fuoco, le stelle, le carte, le tracce, i sentieri) e le sue azioni tipiche (prepararsi, scegliere, orientarsi, confrontarsi, valutarsi, aiutarsi, riflettere, prendere decisioni rapide, controllare le emozioni, mettersi in cammino). Nella vita all’ aria aperta vi è poi la possibilità di riscoprire un’idea di vita in cui l’individuo è protagonista: la vita di oggi nella sua frenesia è sempre di più un ambito all’ interno del quale noi su- biamo e ci adeguiamo a un succedersi di eventi che spesso non siamo capaci di governare adeguatamente.
“Col ritmo lento di un tempo, quello delle stagioni e delle piante, l’uomo non era né spinto né trascinato. Aveva – per forza di cose – il tempo di vedersi vivere. Oggi l’uomo perde ogni giorno più questo diritto di guardare in se stesso. Bisogna farglielo ritrovare”: sono le parole di Guy de Larigaudie in “Stella in Alto mare”, scritte negli anni Trenta, ma più che mai attuali.
Il Rover “leggendario” continua così: “Al Clan, durante un’uscita, il Capo si domanda con ansietà come farà a riempire certi momenti della giornata: discussioni, studio di problemi, capitolo: va bene. Ma perché non – semplicemente – niente? Facendo in modo che ciascuno per proprio conto, nella campagna o nella foresta, possa ritrovare la solitudine e il silenzio. Molti di noi non sono più capaci di sopportare né l’una né l’altra; mentre la voce di Dio è cosi sottile che non si può udirla se non nel silenzio. Esclusivamente”.
La vita all’ aperto come luogo privilegiato dove ascoltare la voce di Dio, il luogo migliore dove sviluppare la consapevolezza che “è ugual mente bello sbucciare delle patate per amore del Signore, quanto costruire delle cattedrali”.

Stefano Bertoni

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