Servire la Patria. Seriamente?

Il 23 aprile, memoria liturgica di San Giorgio, è tradizione che chi è scout si ricordi della propria Promessa: “In questo giorno, tutti i veri scout si fanno uno speciale dovere di meditare la Promessa e la Legge Scout: ricordatevelo, al prossimo 23 aprile e mandate un messaggio di saluto a tutti gli scout del mondo” (Baden-Powell).
Credo che questo proposito non debba essere disatteso, anzi: più si cresce e si diventa adulti, più bisogna tenervi fede, perché con l’aumentare del numero delle primavere sulle spalle, mantenere l’impegno che ci rende una grande famiglia richiede sempre maggiore attenzione. Ovviamente, poiché chiedo l’aiuto di Dio, questo fatica non sarà mai più esigente delle mie reali capacità, perché Dio conosce bene i miei limiti.
Meditando oggi sulla mia Promessa scout, penso che basti soffermarsi su: Prometto di servire la Patria e l’Europa. Cosa vuol dire per me, oggi a Trieste, la mia città, servire la mia Patria? Nel bel mezzo del guazzabuglio politico in cui ci troviamo, forse sarebbe meglio non aver mai promesso qualcosa del genere. E il mio impegno in qualità di educatore? Come proporre la via del buon cittadino, della cittadinanza attiva, se proprio ieri qui da noi una persona su due (io ho votato, potresti essere tu) non si è recata alle urne per scegliere il nuovo Presidente della Regione?
Il disagio, lo sconcerto, la tristezza, il disincanto, la mancanza di fiducia e il ribrezzo per come va la politica italiana sono ben presenti a tutti, non serve quindi farne di nuovo la panoramica. Dunque, come si può servire l’Italia? Io credo fermamente che il primo modo per farlo sia non perdere la fiducia nelle istituzioni, riconoscendo in esse un impianto
solido, il cui primo mattone fondante è la Costituzione.
Per non perdere la fiducia – e, magari, trasmetterla – è necessario conoscerle e, a seconda delle inclinazioni di ognuno, prendervi parte, a partire dall’esercizio del diritto di voto. Ai Rover e alle Scolte consiglio di iscriversi all’albo degli scrutatori: prestare la propria opera nelle consultazioni elettorali è un primo modo di imparare, facendolo, che anche il più modesto contributo personale può concorrere positivamente al funzionamento dello Stato. Non starebbe insieme, se non fosse per le persone che ci credono. In secondo luogo, credo che vada ricordata una delle affermazioni forse più ricorrenti di B.-P.: in ognuno c’è sempre un 5% di buono. Questa percentuale esiste (non ne sono eccessivamente dubbioso) anche nella classe politica che ci governa attualmente. Nonostante la disonestà e le malefatte non abbiano il colore di un particolare partito, ma, anzi, siano piuttosto trasversali, e abbastanza distribuite dal livello locale fino a quello nazionale, questo non vuol dire che la totalità di deputati e senatori sia corrotta.
Trovare quel 5% di buono significa individuare una persona di cui ci si fida, che operi in modo da guadagnarsi la fiducia delle persone (non è interessante come la nostra stessa legge ci fornisca dei parametri di scelta della nostra rappresentanza?) e, in un certo senso, investire su di essa. Il buono della politica tornerà a farsi vedere se noi stessi ci impegniamo a ripristinare il legame personale tra rappresentante e rappresentato: dal consigliere circoscrizionale al senatore. Io ho già cominciato. Questo legame ci è stato tolto con coercizione da una legge elettorale che nessuno vuole più, ma nel concreto dobbiamo riappropriarcene (pretendendo e confidando che la stessa legge elettorale sia cambiata nell’immediato futuro). Il che non significa essere ammanicati o intortarsi: il rappresentante deve sentire il bisogno di confrontarsi con i suoi elettori così come ha bisogno di respirare, e i rappresentati dovrebbero trovare un po’ di tempo per fare presenti le proprie istanze e ascoltare qualche relazione – seppur noiosa. L’instaurarsi di rapporti personali è benefico: induce ad agire per non tradire la fiducia di chi si conosce e, se qualcosa va male, incentiva la riparazione (o, almeno, dovrebbe) perché, in fondo, il voto può essere dato ma anche tolto.
Infine – ancora una volta B.-P. – bisogna fare attenzione ai cucù e ai ciarlatani. La grande tentazione di essere sedotti dalle soluzioni facili e dagli sciamani che propongono rimedi istantanei è sempre dietro l’angolo (cfr. A. Zoccoletto, “Il rischio della democrazia”, Azimuth 02/2013). È necessaria quindi la virtù del discernimento, la capacità di scegliere con la testa e non con la pancia, con la consapevolezza che la maggior parte dei problemi di cui la nostra democrazia è malata non può essere risolta con la bacchetta magica. Tanto meno da persone qualunque: non si può chiamare il calzolaio per estinguere un incendio. Ammetto la complessità di molte questioni che impediscono a tantissimi italiani di vivere con serenità e dignità. Ma complesso non implica necessariamente difficile. Sono certo, poi, che nei palazzi delle istituzioni ci sia più di qualcuno che, in modo competente e silenzioso, saprebbe fornire delle soluzioni adeguate e concrete: non tutta la pubblica amministrazione è in mala fede. Qualcuno sarebbe anche stupito di scoprire che è pure responsabile. Per questo ci vorrebbe la pazienza (ce n’è sempre troppo poca, e qualcuno difficilmente se la merita) di ascoltare, comprendere e interiorizzare i problemi principali che devono essere affrontati.
Una promessa è una promessa, e certe volte si declina in modi inaspettati e scomodi.
Voi cosa ne pensate?

Alessandro Cuttin

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Posted in 2013, 3/2013, Preparati a Servire