Intervista a Roberto Morselli: Nomadi del presente, cittadini del futuro.

Cosa ci spinge a partecipare ad un’attività come l’EuroJam per poi, magari, pensare male dell’extracomunitario che puzza di cipolla sul bus? “Lavorano anche a Natale” … “Ci tolgono il lavoro”: frasi che sentiamo ogni giorno e che non vorremmo pronunciassero mai i nostri ragazzi, ma a cui può essere difficile rispondere opponendosi alla mentalità, ormai imperante, che ha paura del diverso e, a volte, diciamolo … prende anche noi! Ecco allora una motivazione all’educazione interculturale che ha delle solide basi culturali, un momento da dedicare alla riflessione e all’apertura: mettetevi comodi e .. prendete appunti!!!

Professor Morselli, qual è lo scopo della sua relazione tenuta in occasione del corso di formazione sulla comunicazione interculturale svoltosi a giugno 2012, presso il gruppo FSE di Polpet?

Il mio vuol essere un intervento che, partendo da una lettura dello scenario globale in cui siamo collocati, punti a esplicitare il contributo che l’educazione interculturale può fornire alla costruzione della cittadinanza planetaria. Lo scenario entro il quale colloco le mie riflessioni è stato definito in molti modi diversi: società postindustriale (Touraine), postmodernità (Lyotard), network society (Castells), surmodernità (Augé), postfordismo, globalizzazione.

Dal punto di vista sociologico e antropologico quali elementi caratterizzano il nostro mondo?

Viviamo un insieme di processi di trasformazione accelerata in campo politico, economico, sociale, culturale… Viviamo in un mondo complesso, caratterizzato da crescente interdipendenza, nel quale eventi e decisioni di una parte del mondo generano conseguenze significative per gruppi di individui in altre parti del mondo.

Lei descrive le fasi che ci hanno portato fin qui come “Fase di innesco (1800- 1960), Fase di accumulo (1960-2005), Finestra decisionale (2005-2012) fino al Punto di caos (2012)”. E ora?

Il processo innescato porta al punto del caos. Ora vale una regola molto semplice: non possiamo fermarci, non possiamo tornare indietro, dobbiamo andare avanti. C’è un percorso che porta al collasso (conflitto e violenza assumono proporzioni globali, dilaga una condizione di anarchia) e un altro che porta al mondo nuovo (si diffonde un nuovo modo di pensare con valori più adatti all’epoca e una coscienza più evoluta). Persone, movimenti, gruppi, istituzioni padroneggiano le pressioni e conducono l’umanità verso un livello di sviluppo superiore.

Sono molto interessanti le sue riflessioni sui trend della nostra società che ci porteranno al collasso globale, ne può citare solo alcuni?

Il 20% più ricco della popolazione mondiale guadagna 90 volte il reddito del 20% più povero. Il patrimonio netto di 500 miliardari equivale al patrimonio netto della metà della popolazione mondiale più povera ed entro le nazioni “sviluppate” si riproduce lo squilibrio che si registra tra paesi ricchi e paesi poveri. Le spese militari a livello mondiale sono cresciute negli ultimi dieci anni, sottraendo denaro alla salute e all’ambiente. Ogni anno, gli americani statunitensi, preoccupati per la propria obesità, spendono per tentare di dimagrire una somma equivalente a 30 volte l’intero budget impegnato dalle Nazioni Unite per combattere la fame nel mondo. Vi è una diminuzione della quantità di acqua potabile disponibile per ben oltre la metà della popolazione mondiale. Ogni giorno, più di 6000 bambini muoiono per mancanza di acqua potabile.

Ma… perché c’è un “ma”…

Questi trend non sono il destino e possono essere cambiati. Il collasso non è che uno dei futuri possibili di fronte a noi. Non siamo ancora lanciati in modo irreversibile su questo sentiero. Infatti, di fronte a problemi crescenti di minacce condivise, gruppi di cittadini consapevoli si uniscono e danno vita (attraverso le tecnologie stesse della rivoluzione informazionale) ad associazioni e reti che perseguono obiettivi condivisi di pace e di sostenibilità.

Quale apporto può dare l’educazione interculturale a questa sfida?

Occorre riflettere su alcuni orientamenti di politica educativa, nella consapevolezza che una politica “educativa” è qualcosa di più ampio e di diverso rispetto alla sola politica “scolastica”, che tuttavia ne è inclusa. Oggi è necessario mettere in relazione tutti gli attori educativi (istituzionali e non) che hanno un ruolo rilevante sul territorio, perché si confrontino sui temi della convivenza nonviolenta, della solidarietà intergenerazionale, della sobrietà materiale e della crescita culturale. Serve un nuovo patto tra questi soggetti (scuola, altre agenzie formative, famiglie, associazioni…). Per affrontare le sfide educative del presente occorrono una rivoluzione del pensiero, del metodo e delle forme di insegnamento. Per dirla con Michel de Montaigne: “È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”.

Come definirebbe Lei l’intercultura?

Non è una nuova materia, ma un approccio transdisciplinare; non è la conoscenza, spesso folcloristica e superficiale, delle culture altre ma è una prospettiva e una strategia educativa (quindi un modo di pensare e di agire) che mira alla valorizzazione delle differenze e allo sviluppo di competenze per sostenere una convivenza democratica; è centrata sullo sviluppo sia di abilità relazionali-comunicative (ascolto attivo, cooperazione, gestione del conflitto, analisi delle emozioni) sia di abilità cognitive; è un approccio che punta a connettere scuola e territorio. L’educazione interculturale, in quanto punta alla formazione di persone libere, autonome, capaci di critica, incanala altre educazioni: alla democrazia, ai diritti umani, alla pace, alla legalità, allo sviluppo sostenibile, alla salute.

Quali finalità formative appartengono all’intercultura?

Sostenere il dialogo come strumento di apprendimento, educare alla convivenza democratica, innanzitutto organizzando in modo democratico la comunità scolastica; favorire processi di socializzazione; promuovere la capacità di comprendere il punto di vista degli altri, decostruire stereotipi e pregiudizi e sviluppare il senso e la pratica della responsabilità e della solidarietà.

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ALINA DI ADDARIO – Pattuglia Europa

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