Il rischio della democrazia

Quando, negli anni ‘20 dell’800, Alexis de Tocqueville venne a contatto con la nuova nazione americana degli Stati Uniti fu colpito dal livello di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica(1).

Abituato alle vecchie monarchie assolute europee, l’aristocratico francese descrisse un Paese nel quale non vi erano sudditi ma cittadini che intervenivano nelle scelte politiche e amministrative aiutati da un sistema in cui le decisioni della comunità (da quelle del proprio borgo a quelle nazionali) prevedevano il coinvolgimento del popolo (dalla scelta di un insegnante all’elezione dei giudici, ecc.). De Tocqueville non risparmiò critiche al quel sistema (“la tirannia della maggioranza” ad esempio), tuttavia ne trasse una grande lezione di libertà che considerò il principale valore al quale una società dovrebbe tendere anche prima di quello dell’uguaglianza.

Oggi nel nostro Paese (ma più in generale in Europa) stiamo vivendo una profonda crisi economica, che mostra i limiti e le fatiche della struttura politica democratica. La democrazia (intesa come un sistema nel quale i cittadini intervengono nelle scelte politiche e le decisioni sono prese sulla base di una maggioranza), è stata, fin da quando ad Atene si coniò questo termine(2), un assetto istituzionale “rischioso”. Il principale rischio che corre la democrazia è la demagogia (o populismo) e cioè il fatto che le scelte degli elettori siano determinate da cattiva o parziale informazione sulla realtà, ricerca di un vantaggio immediato sacrificando un futuro migliore, emozionalità del momento, paradigmi ideologici che impediscono di vedere anche le ragioni dell’altro, tatticismi politici che sono funzionali al mantenimento di rendite di posizione di alcuni a scapito della comunità.

La grande tentazione

Immersi in una società nella quale non sembrano aver fine gli scandali e scandaletti di una certa politica (di destra e di sinistra), rischiamo di cadere in una tentazione tipica delle democrazie un po’ traballanti che è quella di pensare che ci siano soluzioni facili e soprattutto che esistano taumaturghi (persone fisiche, partiti, gruppi di potere, ecc.) in grado di risolvere le criticità senza che da parte dei cittadini, da parte nostra quindi, vi sia la fatica del confronto, l’assunzione delle responsabilità, la messa in atto di comportamenti rivolti al bene comune(3).

La tentazione della delega produce i guasti peggiori perché non solo chi esercita il potere è sempre tentato di perpetuarlo ma soprattutto perché il cittadino rischia di non riconoscere più il valore della democrazia con la conseguenza che” il potere ama che i cittadini siano contenti, purché non pensino che a stare contenti”. Così si rischia di alimentare la favoletta di una politica “cattiva” e di una società “buona”, dove il cittadino non è mai responsabile delle ruberie, delle distorsioni, dell’illegalità. Questo non assolve i ladri della politica e lo spettacolo offerto in questi anni allontana sempre di più il cittadino dalla cosa pubblica creando un cortocircuito che vede impegnarsi in politica solo chi ha affari da difendere e non progetti da realizzare per il bene di tutti.

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Cittadinanza attiva

Ma la democrazia non può funzionare a lungo se non è sorretta da una cittadinanza attiva e partecipe. Riconosco che non è facile per il singolo districarsi nella complessità della realtà odierna dove si mescolano fattori internazionali (sui quali ben poco possiamo incidere) a fattori nazionali o locali. Tuttavia vi sono molti esempi di uomini e donne che danno il loro contributo nei vari ambiti delle vita sociale per una democrazia partecipata. La partecipazione politica non è (solo) essere presenti nell’agone politico (nei partiti, negli organi istituzionali, ecc.) o formarsi un’opinione sulla res-publica e condividere con altri le proprie idee.

Il cittadino attivo è soprattutto quello che, nell’ambito famigliare e lavorativo, negli spazi pubblici e sociali si impegna secondo le sue capacità e competenze a rendere un po’ migliore il mondo in cui vive e che cerca di rispettare le leggi. Solo così la democrazia può continuare a vivere come il metodo migliore per la pacifica convivenza della società. La distanza tra essere un suddito e un cittadino si misura in questa assunzione di responsabilità. Il suddito, anche se si lamenta, vuole rimanere irresponsabile perché, in fondo, gli conviene contare sulle pieghe del sistema, sulle piccole/grandi ingiustizie, sulle relazioni personali piuttosto che sul merito e il diritto. Questo di fatto favorisce i furbi o chi è dotato di mezzi economici che gli consentono di cavarsela a prescindere dall’etica e dall’equità: in pratica sfavorendo chi non ha mezzi, finanziari o di relazione, ma è dotato solo delle sue capacità e mantiene comportamenti moralmente corretti.

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Antonio ZoccolettoCommissario Regione Nord

Note:

1 ) “La democrazia in America”. Il testo ha numerose edizioni italiane di vari editori.
2) Lo sapevano bene Platone e Aristotele che, pur da posizioni diverse, avevano una cattiva opinione dell’antica democrazia ateniese poiché la manipolazione dell’opinione pubblica aveva portato al disastro della guerra contro Sparta.
3) Questa tentazione è profondamente radicata nel nostro Paese dove, accanto alla legittima critica al malaffare politico, sono spesso dimenticati i comportamenti eticamente scorretti di tanti cittadini. Non parliamo solo dell’enorme evasione fiscale ma anche dell’assalto alle casse pubbliche con metodi truffaldini (false pensioni di invalidità, fondi alle aziende non congrui, ecc.), accanto alla piaga della malavita organizzata.

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