Intervista a Francesca Romana Stasolla: TESTIMONIARE LA SPERANZA

Francesca, puoi dirci come il tuo lavoro contribuisca al bene comune?
Scopo del mio lavoro è contribuire alla formazione dei futuri archeologi, indirizzandoli verso una coscienza storica e verso una corretta etica del lavoro. Credo che tutto ciò che è finalizzato alla formazione e alla conoscenza possa contribuire alla formazione del bene comune, perché determina lo sviluppo delle coscienze e la capacità di interrelazione fra persone.

La formazione Scout ti ha aiutato nella vita lavorativa?
Una delle esperienze più straordinarie che ho fatto come Capo Scout, sin da quando ero capo squadriglia, è stato vedere come ogni persona racchiuda dei tesori e come questi possono restare sepolti – ed ignorati spesso anche da chi li possiede – se non vengono suscitati e stimolati; in questo caso, anche le persone apparentemente meno dotate si rivelano fiori rari. Credo mi sia rimasta l’ostinazione a cercare il bene e il buono nelle persone, in tutte le persone. Sulla mia scrivania tengo una pianta del deserto, senza radici, alla quale basta  un po’ di acqua per aprirsi a fiore, per ricordarmi costantemente che ognuno, se innaffiato con un po’ di acqua, può diventare un fiore.

CHI È? Oggi è Professore di archeologia cristiana e medievale presso l’Università di Roma Sapienza ed è madre di famiglia. Entrata a 9 anni, nel 1971, nel Gruppo Frosinone I, è sempre stata impegnata in Branca Guide, prima come Capo Riparto e dopo alcuni anni come Commissaria Nazionale. È stata Vicepresidente dell’Associazione. Dal 1992 ha lasciato il servizio associativo.

CHI È? Oggi è Professore di archeologia cristiana
e medievale presso l’Università di Roma
Sapienza ed è madre di famiglia. Entrata a 9 anni,
nel 1971, nel Gruppo Frosinone I, è sempre stata
impegnata in Branca Guide, prima come Capo
Riparto e dopo alcuni anni come Commissaria
Nazionale. È stata Vicepresidente dell’Associazione.
Dal 1992 ha lasciato il servizio associativo.

In cosa il percorso Scout secondo te forma al bene comune?

Credo che il metodo Scout contribuisca a sviluppare alcune qualità fondamentali per sviluppare il bene comune. Tra queste certamente la capacità di discernimento, nella costante tensione alla scelta della via più giusta, nell’abitudine all’analisi delle proprie azioni, nella spinta all’autodeterminazione mediante il rispetto della Legge, la progressiva compartecipazione alla responsabilità comune. Poi la capacità di adattamento, nella partecipazione alle attività a prescindere dalle condizioni atmosferiche, nella scelta dell’essenzialità, nella volontà di una vita ancora in sintonia con la natura. Infine la capacità di coinvolgimento, attraverso la progressiva assunzione di responsabilità, mediante il sistema delle squadriglie, la continuità del metodo, la scelta del servizio con la firma della Carta di fuoco o di clan.

Ci racconti di quella volta in cui hai sentito di essere riuscita a fare la cosa giusta per la società…

Credo che la giustizia si persegua nelle piccole cose, con costanza e determinazione. Sia come Capo Scout, sia come archeologa, ho avuto riscontri di essere stata, a volte, veicolo di giustizia. Ho scoperto con stupore come miei atteggiamenti o parole abbiano determinato scelte giuste in altre persone. Ogni volta che vedo un allievo che si incammina per la sua strada e che consegue un obiettivo, che si allontana da me per diventare adulto, ogni volta che vedo nascere lo spirito di collaborazione nei gruppi di ricerca, ogni volta che qualcuno che ho contribuito a formare raggiunge un suo traguardo personale, e torna indietro per coinvolgere qualcun altro penso di aver contribuito alla semina di qualcosa di buono.

Ti è capitato di riconoscere nel servizio al bene comune persone cresciute in ambito Scout?

Parecchio tempo fa mi venne richiesto di contribuire alla definizione di un accordo internazionale bloccato da anni. Si riteneva che una persona diversa potesse tentare di risolvere una situazione che rischiava di creare uno spiacevole incidente diplomatico. Anche dall’altra parte venne fatta la stessa scelta. All’incontro successivo, il nuovo responsabile della trattativa esordì dicendo “Considero un punto di onore il poter avere la sua fiducia”. Chiudemmo l’accordo in un pomeriggio, compresi un caffè e qualche racconto dei nostri rispettivi percorsi Scout, in paesi e tempi diversi. Sui cantieri archeologici tra i colleghi e gli studenti riconosco facilmente gli Scout per le competenze tecniche, per il modo di affrontare gli inconvenienti senza drammi.

Come lo Scautismo potrebbe educare meglio ad essere cittadini attivi?

Nel contesto sociale attuale, credo che la qualità più importante sia la speranza supportata dalla perseveranza. Spingere i ragazzi a testimoniare la speranza vuol dire educare ai grandi ideali, ma è necessario anche aiutarli ad avere pazienza nel conseguirli. Credo che il potenziamento delle abilità tecniche e della vita da campo aiutino a fare una cosa per volta concentrandosi su di essa. L’attenzione alla progressione personale va fatta vivere come un costante impegno con se stessi a determinare il proprio futuro percorso. Ad un diverso livello credo che i ragazzi vadano aiutati a diventare giovani adulti attraverso una maggiore integrazione nelle attività di servizio esterno, ad esempio ampliando la connotazione di “servizio” agli ambienti e alle situazioni in cui essi si trovano a vivere. Il momento della Partenza, pensato in un contesto sociale che lo faceva coincidere anagraficamente con lo spiccare dell’età adulta, risulta oggi forse meno pregnante perché i tempi dell’autonomia e delle scelte definitive di vita si sono dilatati.

coccinella

Sergio Colaiocco

 

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