Con le lucerne accese aspettando lo sposo

Può la storia di una donna morta giovanissima dirci che la vita è un dono meraviglioso? Può dirci che seguire Cristo anche nella sofferenza ci porta nella luce? Sì, anche se a prima vista questa storia ci colpisce e d’istinto ci viene da pensare che sia troppo, anche per noi che ci diciamo cristiani.

La storia di Chiara, di suo marito Enrico e di suo figlio Francesco (ma anche dei fratellini già in cielo Maria e Davide), nel giugno scorso ha sorpreso migliaia di persone, a Roma e in tutta Italia, e ha circolato  velocemente sul web e sulle televisioni. Lei, 28 anni, è morta per un carcinoma alla lingua, scoperto quando era al quinto mese di gravidanza. Forse era ormai tardi per le cure, forse no, di certo lei ha deciso di posticiparle a dopo la nascita di Francesco. L’ha fatto con gioia, dicendo il suo “Eccomi” ancora una volta, pensando prima di tutto al bene della creatura che portava in grembo. Conoscevo Chiara indirettamente, perché amici comuni me ne avevano parlato prima che la storia prendesse quella piega drammatica che poi l’ha consegnata all’eternità. Ho conosciuto Enrico due settimane dopo il funerale di Chiara, chiamato a fare il padrino del figlio di suoi amici. Posso dire che mi hanno raccontato ed ho visto persone normali, appassionate della vita, sensibili ed equilibrate. Con una luce dentro gli occhi che ti scalda e ti fa ringraziare Dio per tutto quello che hai avuto. Che ti fa dire, come ha detto frate Vito nella sua omelia al funerale di Chiara, “questa mattina stiamo vivendo quello che duemila anni fa visse il centurione, quando vedendo morire Gesù disse “Costui era veramente figlio di Dio”. Ma a questo momento finale, a questa fede che pare stratosferica, Chiara c’era arrivata invece pian piano, “seguendo la regola appresa ad Assisi dai francescani che tanto amava: piccoli passi possibili”. La regola delle tre P, che l’ha preparata all’incontro con lo Sposo, come nel passo delle dieci vergini, non senza dolori e sofferenze, ma anche con tante gioie. Un intreccio fittissimo e non scindibile. Come quando, dopo l’incontro a Medjugorje, si sono sposati, e dopo pochi mesi hanno scoperto di aspettare una bimba. E poi quando hanno saputo che, per una malformazione, la bambina non sarebbe vissuta a lungo. Hanno scelto di farla nascere lo stesso, e hanno gioito per ogni momento di vita di Maria, celebrando il battesimo ed accompagnandola nella sua “nascita in cielo”. Ecco come Chiara descrive quei momenti: “Quando aspettavo Maria, se avessi abortito, non penso che avrei ricordato il giorno dell’aborto come giorno di festa. Invece ricordo la gioia di quel momento, quando è nata. Alle mamme vorrei dire che conta il fatto di avere avuto il dono del figlio, non il tempo che ci è riservato di stare con lui”. Dopo qualche mese, Chiara e di nuovo incinta. Questa volta e un maschietto, ma anche in questo caso, le ecografie non danno riscontri rassicuranti: il bimbo nascerà senza gli arti inferiori. Alla fine della gravidanza, nuovi esami fanno capire che anche per Davide la vita sarà breve. Ed anche in questo caso i due genitori assistono alla nascita, al battesimo e ad un’altra salita in cielo.

Il resto è noto. O forse no: perché Chiara, che è morta “non solo serena, ma felice”, nelle parole di frate Vito, ha sempre avuto un pensiero per gli altri. Arrivando a fare un nuovo pellegrinaggio a Medjugorje, quando già la sentenza definitiva era stata scritta, assieme alle famiglie degli amici, a tante giovani coppie e bambini. Pur con grande fatica, ma Chiara voleva “aiutare gli altri ad accettare il dolore, a capire ai piedi della Madonna il senso della vita qui su questa terra”. Chiara ed Enrico hanno dato concretezza agli inviti di Giovanni Paolo II ad aspirare alla santità, a quella “misura alta della nostra vita quotidiana”. A quel papa erano molto legati, tanto da fare proprio il suo motto di affidamento a Maria: “Totus tuus”. Il Cardinal Vallini, presente alla celebrazione, l’ha definita “una seconda Gianna Beretta Molla”, riferendosi alla mamma milanese proclamata santa qualche anno fa. “La vita è come un ricamo di cui noi vediamo il rovescio, la parte disordinata e piena di fili” ha proseguito il cardinale. “Di tanto in tanto, però, la fede ci permette di vedere un lembo della parte dritta. Io non so cosa ha preparato Dio attraverso questa donna, ma è sicuramente qualcosa che non possiamo perdere, e ci ricorda di dare il giusto valore a ogni piccolo o grande gesto quotidiano”.

Pier Marco Trulli

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Posted in 2012, 4/2012, Nelle sue mani