Una giornata al mare

Marco Cavalieri

Il vento è in una delle sue giornate “no”: soffia dentro un microfono vicino le mie orecchie e mi rende davvero difficile anche solo pensare. Granelli di sabbia arrivano indesiderati sotto i miei denti come certi zii di mia moglie in visita per la nascita di nostra figlia.

Insomma per trovare un attimo di sollievo devo dare le spalle a tutto questo frastuono, piegare le ginocchia, abbassarmi e respirare piano. Ne approfitto per toccare l’acqua. Fredda da morire neanche fossimo a gennaio. Sembra decisa ad abbronzarmi le retine, sparando riflessi di un sole che non usa pietà né da avvertimenti.

Non è che tutto questo importi molto a mia moglie.

Lei non ha mai avuto molto bisogno di sentire quello che dico: semplicemente io mi limito a pensare e lei risponde. Va da sé che a volte è una cosa imbarazzante, così come ad onor del vero il suo gioco preferito è un altro: sa cosa penso ma fa finta di non capirmi mandando in cortocircuito ogni senso logico e stuzzicando in me quell’irresistibile desiderio di invocare il buon Dio con gentilezza e cortesia diversamente dimostrata.

È stato così che abbiamo deciso di partire.

Con consapevolezza, necessità, silenzio ed una buona dose micro danni cerebrali tutti a mio carico.

E un bel giorno siamo andati via: Lei, io e la piccola.

Nostra figlia: questo frappè di acido desossiribonucleico venuto al mondo un annetto fa. Un Leviatano con la chiarissima vocazione per la dittatura.

Mia moglie non sembra neanche sfiorata da questa sorta di tempesta di sabbia sahariana e ogni tanto cerca di ricordarmi che, forse, sarebbe meglio tornare indietro.

Per come sono messo in questo istante chiunque mi aspetti può farlo per l’eternità. Ho bisogno di fare questa passeggiata, ho la sensazione di dover sistemare qualcosa, come se dovessi rendermi conto di persona: di cosa… non so!

In tutto questo c’è una nota stonata nell’aria: un odore dolciastro, come di melassa con punte di zolfo.

La sabbia ha la stessa faccia di qua e di la dal mare. È assetata di sciabordii, affamata di tutto quello che può masticare con la sua eterna pazienza. È una donna sposata ad un mare che non ferma i suoi tormenti neanche quando sembra essere calmo; una strana coppia con la passione per l’arte contemporanea.

Nella loro personale bottega invernale sono in grado di trasformare un vetro rotto in un sorriso per fidanzatini, o un canneto vomitato dal solito nubifragio in spunti naif magari per qualche anziano Signore dai capelli bianchi come la neve e gli occhi chiari come la verità.

La sabbia bagnata trattiene le tracce dei nostri passi quel tanto che basta per dimenticarsene. Insomma è un bel posto per sforzarsi di riflettere ma di sicuro non per coltivare la memoria. Infatti sarà il vento o sarà che sono stanco morto ma non riesco più a ricordare da quanto stiamo passeggiando.

La bambina non è con noi, è rimasta con quegli amici da cui vorrebbe farmi tornare mia moglie: devo dire che quelle persone sono dei veri angeli. A trovarne di gente così. Io in confronto sono l’uomo nero.

La mareggiata dell’altro giorno deve avere smosso un po’ di cose tra la sabbia: in lontananza riesco a vedere degli scogli decisamente fuori contesto. E poi quanti sono? Sta di fatto che devono piacere alle persone c’è un gran movimento intorno.

Accidenti, questo odore comincia a prendermi a pugni. Ma perché non danno una ripulita?

Sono belle quelle tende nel boschetto accanto alla spiaggia, sembra che degli scout stiano facendo il loro campo estivo. Da dove vengo c’era un gruppo di questi strani ragazzi. Mi ha sempre colpito la loro caparbietà nel “voler” essere contenti. E da dove vengo io non è molto semplice.

La confusione che vedo più in là sembra avere un ritmo lento e composto. Cioè non ha niente delle partite col pallone di pezza che facevo per strada al mio paese. Usavo un barattolo arrugginito e un copertone bruciato a mo’ di pali di una porta di calcio e volando da una parte all’altra a rischio del collo urlavo: ”miracolo di Thomas N’kono!“.

Qui sembra tutto molto compassato. Ho di nuovo bisogno di accertarmi che vada tutto bene, eppure mia figlia è nella direzione opposta e mia moglie con la calma di chi ha fatto quattro chiacchiere col Creatore mi fa notare che non abbiamo niente da fare laggiù “ormai” e che la piccola ci aspetta.

“Ormai”? Che diavolo vuol dire ormai? Ormai ha senso se vieni da un posto dove hai risolto qualcosa non se ci vai per vedere che succede? E allora mi giro verso di Lei, la guardo e mi accorgo che mi chiama con la stessa “tenerezza” con cui ci si rivolge ad un figlio quando vuoi consolarlo dopo che ha avuto un dispiacere grande.

“No! Non ci provare. Mi rifiuto!” Le dico.

In attimo impongo senza cortesia alla sabbia di ricordare quello che hanno da dire i miei piedi e di ricordarlo per bene. Comincio a correre come Abebe Bikila che insegue il fantasma di Rhadi Ben Abdesselam alle Olimpiadi di Roma. Corro e trattengo il fiato, come se non avessi più bisogno di respirare ma solo di capire e di sapere che tutto è al suo posto. “Riposto”, per bene.

Eccomi, l’odore disgustoso mi trasforma la faccia, la gente si muove piano, gli scogli sono la dove me li aspettavo con l’unico problema che ce li ha portati il mare.

Duecentotrentanove nuovi scogli. Persone morte.

Il Mediterraneo è diventato molto più che un mare. È un maledetto cane rabbioso affamato ed istigato ad arte da chi sfrutta un bisogno.

C’è una ragazza dalla camicia azzurra e un fazzoletto al collo: mi pare sia blu. Mi colpisce perché ha la faccia pulita. Sembra una persona buona. Ha una spugna in mano e con delicatezza pulisce la faccia di una bimba che non c’è più. Con un po’di impegno ne fa riemergere un sorriso, o una smorfia non capisco bene. Una volta finito sembra che la vita le abbia scaricato addosso vent’anni.

Vado da lei deciso a darle una mano, ma inciampo sui piedi di un uomo e vado giù vicino alla sua faccia.

Nero come la pece, bagnato, bruciato dal sale, un’espressione di dispiacere e paura e un viso tale e quale al mio. Il mio.

Ho la sensazione di cadere nel vuoto, come a volte mi capita mentre dormo e sono di nuovo all’inizio della spiaggia, di nuovo il vento, la sabbia sotto i denti, il boschetto e vedo ancora della confusione in fondo, vorrei ancora capire che succede ma stavolta mia moglie mi si para davanti: “Vuoi continuare così in eterno? Hai capito tutto quello che c’è da capire. La traversata non è andata bene. Non preoccuparti, si stanno occupando di tutto: sono brave persone. Ora però raggiungiamo la piccola ci sta aspettando e per quello che ne so siamo state delle brave persone anche noi”.

Posted in 2/2017, Racconti