Salvatore Salvatori, 5° Capo Scout delI’A.S.C.I.

di Attilio Grieco

Ricorre quest’anno il 30° anniversario delritorno alla Casa del Padre di Salvatore Salvatori, un Capo molto importante per la storia dello Scautismo italiano. Entrò nell’ASCI nel 1917 e nel 1928, quando il fascismo sciolse l’ASCI, Salvatori istituì e mantenne vivo il rinnovo della Promessa nel giorno di San Giorgio nella chiesa di San Giorgio al Velabro, che tenne uniti gli Scouts romani nel periodo clandestino. Nel 1943 Salvatori fu chiamato a far parte del nucleo di Capi che stavano lavorando per la rinascita dell’ASCI. Rivestì vari incarichi nazionali e al 1964 fu eletto Capo Scout (equivalente al nostro Presidente). Salvatore Salvatori, il cui totem era “Orso Montano”, tornò alla Casa del Padre il 6 maggio 1983. Pubblichiamo un suo ricordo scritto da Guido Palombi e pubblicato sul numero 70 di Esperienze & Progetti.

Ho conosciuto il prof. Salvatori nel 1946. Era il periodo eroico del subito dopo guerra e mi trovavo impegnato allo spasimo con l’Azione cattolica di Cristo Re in quello che giudicavamo essere la grande lotta per la difesa della civiltà cristiana. Era il periodo dello scambio delle pennellate di colla in faccia con gli amici tranvieri comunisti, quando ci contendevamo gli spazi di muro per attaccare i manifesti. Oppure quello dei comizi con i dibattiti all’ultimo sangue in tutte le zone di Roma e dintorni. Alla fine del ‘47 il buon padre Bosio, Parroco di Cristo Re, mi propose di dirigere lo sparuto gruppetto di ragazzini che residuava dal Riparto Scout. Io accettai con la mia solita incoscienza, ma in realtà cambiai ben poco delle mie attività: sinceramente non sapevo che far fare a quei ragazzi. Un giorno, mentre giocavo una partita di calcio nel cortile della parrocchia, mi vengono a chiamare perché “un signore” desiderava incontrare capo e scouts del Riparto. Era il prof Salvatori che ci radunò in cerchio, sparse per terra davanti ai nostri occhi una trentina di oggetti disparati, ci diede un minuto di tempo per osservare, coprì gli oggetti e ci chiese di elencarli a memoria. Il famoso gioco di Kim. Passammo un’oretta insieme con l’entusiasmo che cresceva sempre più, finché alla sua proposta di frequentare un suo prossimo campo scuola sul lago di Vico, accettai con gioia. Mi aveva inoculato il bacillo del Grande Gioco. Cominciai a frequentarlo come mio capo a Via della Pigna 13/A: avevo sempre mille domande da porgli. Il suo ufficio al pianterreno aveva per me una grande suggestione. Lì il Professore esercitava un’attività caotica: era contemporaneamente Presidente Diocesano di A.C. e Commissario di Branca Esploratori nell’ASCI. Più di una volta assistetti alle sue trasformazioni di immagine. In «tight» dopo una riunione con alti prelati, si toglieva velocemente l’abito restando in perfetta uniforme scout pronto a salire in macchina, con la quale il buon Fiorino lo portava velocemente ad un raduno scout. Ma in quell’ufficio lo imparai a conoscere anche per altre sue ben più importanti prerogative. Capii della fiducia che godeva, avendo le chiavi della cassaforte del Vicariato e partecipando vivamente alla formulazione delle liste politiche della Democrazia Cristiana locale, ne cominciai ad inquadrare le qualità umane, alcune delle quali spiccatamente scout: entusiasmo, affidabilità, generosità, cordialità, amore per la natura, forza d’animo, fedele alla Gerarchia, attivo e realizzatore, cristallino di fronte al denaro, limpido nei contatti con tutti. Ma anche confusionario, approssimativo nei particolari dell’azione, ottimista al di là del realismo, e ingenuo. In aggiunta, Padre Agostino Ruggi d’Aragona, con quel suo accento francesizzante, ma con tanto garbo, lo definiva «il più grande gaffeur del mondo scout »! Fondamentalmente Salvatori era un innamorato di Dio. Aveva uno zelo che gli faceva superare ogni difficoltà ed ogni sua limitazione. Viveva e si muoveva per realizzare i piani di Dio, con semplicità. Quando assunsi responsabilità in seno al Commissariato Centrale dell’ASCI, lo conobbi meglio come dirigente nazionale e lavorammo parecchio insieme. Era certamente un leader di valore, tipicizzato nelle sue condizioni: azione, zelo, limpidezza, ingenuità. Un episodio lo illustra. Quanto ritornò dal Jamboree in Canada alla guida del folto contingente di Scouts italiani, fece in Centrale una relazione molto lusinghiera dell’impresa portata a termine. Alla fine accentuò molto la differenza di stile morale che aveva dimostrato il contingente italiano nei confronti di quelli di altre nazioni. Feci poi nel 1960 la mia esperienza inglese di Scautismo frequentando il campo scuola di Gilwell Park, la Mecca dello Scautismo. Quella occasione mi fece capire come Salvatori avesse assimilato più facilmente di altri (che passavano per la maggiore) la sostanza del movimento di Baden Powell: pragmatico, spirituale ma laico, lo stile, l’orgoglio di club, il grande gioco, la sintonia con i ragazzi, la spontaneità, i fini ultimi del processo educativo. Anche se la sua personalità e la sua formazione erano per molti versi lontanissime dagli atteggiamenti inglesi, non fosse altro che per la pignoleria delle preparazioni e per il sottile e distaccato humor di cui è saturo anche il Fondatore […]. L’ho rivisto qualche giorno prima che morisse. Aveva già una gamba con ferite in gangrena e certamente soffriva molto. Al mio invito di farsi ricoverare in ospedale (era completamente solo in casa) mi disse che voleva aspettare a casa. Aspettare… Il ricordo chiaro che ne ho, e che conservo come il suo ultimo dono, è quello di un uomo che della vita aveva saputo scegliere «la parte migliore, che non gli sarà tolta».

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Posted in 5/2013, Radici