Padre Vittorio Lagutaine “Su nel Paradiso…”

Lo conobbi alla mia prima lezione di Teologia all’Università. Non ci capii niente, ma rimasi affascinata da quel sacerdote
che parlava così bene e sapeva fare esempi di vita quotidiana per cercare di rendere più accessibili le Verità teologali alle menti di noi, povere diciottenni. Soprattutto mi colpì la sua capacità di far capitare nella sua lezione così tante parole che finivano con “ré”, pronunciato con la é aperta, così come si parla a Torino, città da cui proveniva. Certo non potevo immaginare che da lì sarebbe potuta nascere un’amicizia tanto importante per la mia vita e per quello che sono diventata. Dopo ogni lezione mi fermavo per chiedergli spiegazioni sui vari argomenti di teologia da lui affrontati, e lui non lesinava mai il suo tempo. Sembrava che non avesse mai fretta e ciò lo portava ad essere in perenne ritardo dappertutto; ma chi parlava con lui aveva l’impressione che il tempo si fermasse. Poi il primo “campeggio estivo” a Rhemes in Val d’Aosta a cui seguirono, anno dopo anno, la Val di Fassa, la Val Badia…giorni stupendi trascorsi tra scalate avventurose, S. Messe sulle cime faticosamente raggiunte o nelle cappelline dei paesini che incontravamo sul nostro cammino, riflessioni, confronti sapientemente guidati, amicizia. Le sue omelie e le sue catechesi erano “fantastiche”! Era capace di tenere testa al più incallito ateo della terra con sapienza ed umorismo. Sapeva parlare alle adolescenti come nessuno mai: si sentivano capite più di quanto non si capissero loro stesse. Vicino a lui ci si sentiva piccoli tra gli uomini, ma grandi agli occhi di Dio. L’inconsapevole desiderio di passare da una fede infantile a una fede matura e la sete di conoscerla a fondo, mi spinse ad iscrivermi anche all’Università di Teologia dell’Angelicum, dove padre Vittorio insegnava Teologia dogmatica: le sue lezioni serali registravano sempre aule super affollate!
E, dopo la lezione, si andava in una cappellina al primo piano per la celebrazione della S. Messa quotidiana. Teologo, appassionato ricercatore della Verità, oltre ad essere, come sacerdote domenicano un fedele seguace di S. Tommaso, padre Vittorio era un uomo cavalleresco e dalla profonda sensibilità, capace di fargli cogliere il punto di ogni situazione e di risalire all’origine del problema. Erano famosi, tra noi studenti, i suoi “distinguo”, dopo ogni domanda che gli facevamo. Terzo di otto fratelli, aveva cinque sorelle, la cui vicinanza, oltre agli insegnamenti del padre magistrato, gli avevano sviluppato un enorme rispetto per la femminilità di cui aveva colto la portata straordinaria per relazioni sociali equilibrate. Uno dei suoi due fratelli, morto in giovane età, era anche lui sacerdote, però salesiano.
Al momento di ricevere l’ordine sacerdotale, aveva cambiato il suo nome con quello di Felice, un suo carissimo amico che aveva visto cadere in montagna. Forse fu per il segno che aveva lasciato in lui questa tragedia che, tra le numerose canzoni di montagna che ci insegnava e ci faceva cantare a più cori, non ci ha mai proposto il bellissimo canto “Signore delle cime”. Girava con una 127 bianca che sembrava un’auto di zingari; vi si ci trovava di tutto: dalla piccozza per ghiacciai alla coperta, dal fornelletto alla tesi di una sua allieva…Ma se una di noi provava ad offrirsi per dare una sistemata ed una pulita, non lo permetteva per il gran rispetto che aveva per la dignità di noi ragazze. Aveva un temperamento artistico: amava ascoltare la musica classica che conosceva benissimo e gli piaceva cantare e farci cantare, riuscendo nei nostri cori a più voci a cogliere una nota sbagliata o un mezzo tono più alto o più basso. La mia prima chitarra me la regalò lui perché potessi accompagnare i miei canti con le Guide. Sapeva disegnare benissimo e faceva delle caricature ironiche e ricche di particolari. Costruiva ogni cosa che gli serviva con le proprie mani, dimostrando una eccezionale abilità. Amava la montagna e sapeva trasmettere questo amore a tutte noi. Non c’era nozione, in qualunque campo del sapere e della cultura che non conoscesse e che non sapesse inquadrare in un contesto critico. Amava scherzare raccontando aneddoti spiritosi e la sua risata contagiosa era quella di un uomo puro. A lui sussurrai “mi sa che mi sto innamorando…”. Fu lui a benedire la mia Promessa scout e la mia investitura a Capo Brevettata della nascente Associazione. Da lui corsi per confidargli “mi ha chiesto di sposarlo…” A lui chiesi di sposarmi… Ricco di esperienze nel mondo scout, vissute in ambiente AGI, si trovò suo malgrado, nel bel mezzo dello sfascio che dalla fine degli anni Sessanta interessò, come tutti gli ambienti giovanili, anche le due più numerose Associazioni scout cattoliche italiane e che le portò alla loro chiusura in favore nella nascita dell’Agesci.
Così preferì tenere me e altre ragazze lontane dallo scautismo “istituzionale”, non facendoci mai mancare, però, tutto ciò che il Metodo originario e cattolicamente interpretato proponeva. Fino al 1976 quando, appunto, ebbe inizio la nostra Associazione ed il Gruppo Roma 4. Chiamai lui per celebrare la S. Messa, una domenica di giugno in cui avevo radunato i miei ex alunni per vivere allegramente una giornata insieme. “Mi piacerebbe fare qualcosa con loro, magari un club, così per tenerli uniti e continuare ad occuparmi della loro formazione, anche se non sono più la loro maestra. Che ne dici di un “club della gioia”?” La Provvidenza volle che padre Vittorio venne a sapere da un suo illustre confratello, padre Ruggi, che qualcosa di buono si stava muovendo nel mondo scout. C’erano degli scout francesi, gli Scouts d’Europa, che avevano mantenuto come priorità, nel loro operare tra i giovani, la fedeltà alla Chiesa e la fedeltà al Metodo originario di BP. Padre Ruggi gli consigliò di andare a parlare con un certo ingegnere romano, ex Capo dell’ Asci, che stava tenendo i contatti con i francesi: Attilio Grieco.
Da quell’incontro ne scaturirono altri e come un pioniere, si prodigò per la nascita delle Guide del Roma 4, “marinarette”, come diceva lui per il colore del fazzolettone blu con due strisce bianche. Contemporaneamente, a livello nazionale, si diede corpo e anima per costruire i contenuti educativi e i fini associativi che ancora oggi formano l’ossatura del metodo e del nostro servizio tra i ragazzi. L’intereducazione fu una sua invenzione e divenne una delle peculiarità metodologiche principali della nostra Associazione. Sensibile alle problematiche educative, padre Vittorio aveva ben chiaro che i tempi non permettevano di riproporre l’educazione parallela tipica dell’AGI e dell’ASCI. Nello stesso tempo, la scelta dell’Agesci sulla coeducazione, evidenziava tutta la sua inadeguatezza per una crescita nel rispetto delle diversità psicologiche e vocazionali delle ragazze rispetto ai ragazzi, con una notevole mortificazione delle specificità delle prime. L’intereducazione permetteva di crescere e scoprire le proprie ricchezze in unità femminili per le ragazze e maschili per i ragazzi, per culminare in una messa in comune consapevole delle proprie specificità sporadicamente a livello di terze branche e continua a livello di Capi. Fu nominato Assistente Generale nel 1978 e proseguì questo servizio fino al 1985. Lasciò l’Angelicum e Roma nei primi anni novanta, tra la perplessità e il dispiacere di noi tutti. Era convinto di dover ancora dare alla sua “provincia” qualcosa di buono di sé, prima che la vecchiaia gli avesse impedito di essere un predicatore domenicano lucido. A lui, l’Associazione deve gratitudine per la sua instancabile opera per lo sviluppo iniziale, per lo spessore contenutistico del Metodo e la preparazione, a livello di diplomazia ecclesiastica, al nostro riconoscimento della Santa Sede, poi ottenuto da padre Ivan. A lui, io devo gratitudine per la razionalità della mia fede, la costruzione serena e libera della mia personalità, il mio matrimonio felice e i miei splendidi quattro figli!

Angela Vanini Grieco

Posted in 2013, 3/2013, Compagni di Viaggio