“Prima di sposarmi, avevo sei teorie su come allevare i figli; ora ho sei figli e nessuna teoria” John Walmot, poeta e nobiluomo del XVII secolo. Sulle modalità più consone di educazione dei figli e, più in generale, dei giovani l’umanità si interroga dalle proprie origini, producendo tonnellate di considerazioni, spesso originali, affascinanti, contraddittorie, in linea o in contrasto con le dinamiche dell’evoluzione storica e sociale.
In “Genitori senza colpa”, un testo del 2013 di Harley A. Rotbart, pediatra con un’esperienza trentennale e docente all’Università del Colorado, ho ritrovato questo banalissimo calcolo matematico: ci sono solo 940 sabati dalla nascita di un bambino a quando se ne va a studiare all’università (al netto delle bocciature!).
Se un figlio ha cinque anni, sono già trascorsi 260 sabati!
Nel resto della settimana descritta dall’autore, a seconda dell’età dei bambini e, aggiungo io, considerando che spesso mamma e papà lavorano entrambi, rimangono al massimo un’ora o due al giorno da passare insieme tra genitori e figli. Quando sono molto piccoli, trascorrono parecchie ore dormendo. Quando sono un po’ più grandi, la scuola, i compiti, l’orario di lavoro e i giochi con i coetanei fanno sì che da lunedì a venerdì nelle famiglie ci sia ben poco tempo per tirare il fiato o stare insieme tra giovani e adulti.
Se questo calcolo vale per i genitori, per le altre figure come il capo scout si possono fare due considerazioni: se a) noi abbiamo ancora meno tempo per incidere, è anche vero che b) il tempo a nostra disposizione non è poi neppure pochissimo se rapportato a quello che rimane alla famiglia che dovrebbe essere la palestra fondamentale di educazione.
Da un lato siamo abituati a considerare il processo educativo come una lenta e progressiva sedimentazione di pratiche e comportamenti, dall’altro però questi semplicissimi calcoli ci mostrano come i momenti reali e concreti a nostra disposizione per incidere in questo processo non siano infiniti. Proprio perché non infiniti, questi momenti vanno impiegati al meglio.
E quale miglior sistema per utilizzarli adeguatamente se non quello di programmarli? Nel libro di Rotbart ad un certo punto si suggerisce ai genitori di fissare un calendario per gestire il proprio tempo con i figli e magari capire veramente come funzionano le loro giornate.
Fare un programma, fare un calendario e centrarlo non solo sulle nostre esigenze, ma sulle esigenze di un altro… assomiglia “stranamente” a qualcosa che dovremmo conoscere molto bene!
Ora, pur rimanendo convinto che il buon genitore non abbia sempre bisogno di mettere su carta la propria settimana e quella dei figli, è comunque interessante vedere come eminenti personalità accademiche rimandino a sistemi di pianificazione del tempo della vita familiare che ricalcano molto precisamente le modalità di corretta programmazione di una riunione o di un’uscita.
Avanzando nella lettura de libro mi rendevo conto che per un capo imparare ad alternare sapientemente un’attività impegnativa fisicamente a una più calma in una riunione di branco o in un’attività di riparto può diventare in prospettiva, almeno in una certa misura, la capacità di gestire al meglio il tempo da trascorrere con i propri figli.
Se posso aggiungere, con la giusta dose di fantasia che permette di cogliere al volo le occasioni impreviste – in una riunione così come nella vita quotidiana – che danno sapore al nostro tempo e ci permettono di non cadere nell’eccesso opposto, è cioè la “schiavitù” del programma (“anche se forse sarebbe meglio fare diversamente si fa così perché ormai è scritto così …”).
Tutto questo forse può sembrare poco, ma in realtà è tantissimo e rende perfettamente l’idea dell’importanza del compito che siamo chiamati a svolgere in quei segmento di 940 sabati nei quali una famiglia affida a noi un ragazzo . Per capire come la qualità e non solo la quantità del tempo possano essere decisivi mi vengono in mente le riflessioni in merito alla figura dell’insegnante proposte dallo scrittore Daniel Pennac in una lectio magistralis pronunciata all’Università di Bologna1. Gli insegnanti di cui si conserva un ricordo buono e nitido, secondo Pennac, sono proprio quelli che “sembravano avere tempo… Eppure non avevano più tempo dei colleghi; un’ora è un’ora, una classe è una classe, cinquantacinque minuti per una trentina di studenti . Ma l’attenzione che suscitavano dilatava la loro durata”.
Se ci pensiamo bene l’attenzione che un capo sa suscitare, così come la presenza che un genitore sa trasmettere non dipendono esclusivamente dalla quantità di tempo: dipendono probabilmente anche da come chi ci è affidato percepisce che siamo realmente interessati a lui. In questa chiave i nostri 940 sabati possono sembrare pochi, ma possono assumere un valore che si dilata lungo tutto l’arco di una vita.
1 Il testo integrale della lectio in inserito in “Una lezione di ignoranza”, Astoria, ottobre 2015