Mons. Vincenzo Savio già Vescovo di Belluno-Feltre
Il testo è tratto da un’omelia tenuta in occasione del Natale.
Amo introdurmi in questa notte santa con una citazione forte e coinvolgente, per augurare che questa contemplazione del Natale del Signore sia un’esperienza vera, forte, non di routine. Un grande e tormentato cristiano del 1800, il danese Soren Kierkegaard, così scriveva: “Ma fin quando esiste un credente, bisogna che egli, per essere divenuto tale, sia stato e, come credente, sia, contemporaneo alla Sua presenza come i primi contemporanei; questa contemporaneità è la condizione della fede o più esattamente è la definizione della fede. Signore Gesù Cristo, fa’ che a questo modo possiamo diventare tuoi contemporanei, così da vederti nella tua vera figura e nell’ambiente dove realmente camminavi sulla terra e non nella forma di un ricordo, vuoto e insignificante. Che possiamo vederti come sei, e come fosti; e come sarai, fino al tuo ritorno nella gloria, il segno dello scandalo e l’oggetto della fede, l’uomo umile e tuttavia salvatore, venuto sulla terra per amore, per cercare quelli che erano perduti, per soffrire e morire…”
Parole piene di provocazione e di fascino, che hanno la forza di chiedere a ciascuno di noi, a me e a voi, la verità di questo nostro festeggiare il Natale di Gesù e ogni altro mistero del Redentore. Vogliamo imparare, perché diventi stile permanente, a scegliere secondo la volontà del Signore: che cosa farebbe oggi Lui, se fosse qui al mio posto? Che cosa siamo chiamati a fare noi? Come decidere ogni nostra azione, se vogliamo essere suoi discepoli e suoi testimoni nella complessità di questo tempo e della nostra terra? Sì, come dice Kierkegaard, essere suoi contemporanei. A questa profonda verità fa riscontro, fratelli e sorelle, un dato impressionante che mi fa seriamente pensare. Ma se vogliamo che i nostri auguri, questa notte, non siano né formali né insinceri, è necessario che almeno diamo un colpo d’ala alla nostra fede, in questa festa così coinvolgente, al punto da sollecitare più che in ogni altra occasione il desiderio di incontrare e di rapportarci al Signore Gesù come Salvatore del mondo, come Salvatore della mia vita, della vita di ciascuno di noi. In un’indagine svoltasi nei mesi passati, alla domanda “Lei si considera personalmente credente?” il 43,8% ha dichiarato di credere in Dio ed anche negli insegnamenti della Chiesa cattolica. Ma, procedendo oltre, sulla rilevanza della presenza di Cristo nella propria fede, il livello di disponibilità scende: solo il 33,6% ritiene che il primo scopo della Chiesa sia “Annunciare Gesù Cristo e il so Vangelo”, a fronte di altri compiti che riscuotono successi ben maggiori in termini di percentuale. E addirittura solo il 22% è solito rivolgersi al Signore Gesù nella preghiera, rispetto alle percentuali ben maggiori di chi si rivolge alla Madonna o ai propri cari defunti. Anziché scoraggiarmi, queste risposte mi stimolano. Forse non sono quantitativamente diverse da quelle ricevute da Gesù stesso quando a Cafarnao, dopo la moltiplicazione del pane, disse a chiare lettere chi mai Lui fosse e perché mai il Padre Lo avesse inviato (cfr. Gv 6,48-66). No! Scoraggiamento no, ma desiderio di verificare in prima istanza la mia fede personale, per come sto testimoniando Gesù come Signore della mia vita, centro e cuore dei miei pensieri e dei miei desideri, e impegnarmi perché Egli diventi il centro della nostra storia. Guardo alla nostra comunità e la vedo bene rappresentata nel presepe che abbiamo costruito nelle nostre case e che, in qualche maniera, ci rende contemporanei a quella notte. Il Natale di Gesù ci commuove e ci sollecita, e noi, come i pastori, sentiamo ancora una volta vibrare il nostro cuore all’invito di muoverci e scoprire la più sorprendente meraviglia d’amore che ha invaso la storia. Questa sera, in questa notte santa, nulla ci spinge fino a qui nelle nostre chiese come la dolce pressione di questo Dio che si fa uomo. Appena gli Angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere ” (Lc 2,15). E la stessa parola dei pastori diventa nostra parola questa sera e ci aiuta a sentirci contemporanei. Questo rinnovato entusiasmo è il dono che depositiamo accanto a quella greppia. Poca cosa? Ma è il cuore nostro che si commuove per la storia, ripetuta nei secoli, di questa verità: Dio ama me, per me è qui, perché Egli sospira, desidera coinvolgermi nella sua stessa vita divina (cfr. Gal 2,20). Per rendere quest’esperienza non occasionale, ma duratura, per non svuotare la profonda verità di questa notte, che fare? La tradizione ha fatto di questa festa il giorno del dono, spinta dalla verità di questo dono straordinario che Gesù è per il mondo. Vi invito allora a fare a voi, prima che agli altri, un dono che “inveri” questo giorno. Anzi, voglio farvi io un dono. Molto meno caro di tanti regali che ci siamo scambiati, ma infinitamente più prezioso, vero compagno di vita, fonte inesauribile che racconta l’amore di Dio e ci aiuta ad essere contemporanei di Gesù. Regalatevi un Vangelo. Uscendo di chiesa, questa notte, ho predisposto per voi un Vangelo. Se voi non avete un vostro personale Vangelo, da sottolineare, da consumare, da “mangiare” quotidianamente, prendetelo. Come dono del Vescovo, di un fratello, quello stesso fratello che, donandovi in questa Eucaristia il corpo di Cristo, in memoria di questa notte vuole offrirvi la sua compagnia. Chi già lo possiede, lo lasci disponibile a chi non lo ha. Chi non lo ha, non si vergogni di prenderlo e portarselo con sé: è Gesù che ritorna a voi, scambia con voi il dono che gli avete fatto, questa notte, di venirvi a dire che a Lui volete bene, che Lui è, nonostante tante personali distrazioni e lontananze, il senso della vostra vita. Che Egli nasca, grazie ad ogni pagina del Vangelo, in voi. Buon Natale!