I vecchi e i giovani

di Stefano Bertoni @Bertoni2Stefano

“Gli anziani, il più delle volte, non sono che un peso per la società perché non fanno altro che appesantire i problemi già esistenti, complicandoci ulteriormente la vita” (Giovanni, studente liceale di quindici anni): giornale locale, articolo-inchiesta sul rapporto giovani-anziani. Proseguendo nell’articolo più sotto Giovanna, altra studentessa, controbatte così alle accuse di maleducazione dei giovani nei confronti degli anziani: “Non tutti i giovani sono maleducati e ne è la prova che alcuni cedono il posto sull’autobus senza che gliene venga fatta esplicita richiesta, o ringraziano quando gli viene fatto un regalo”.

Alcuni cedono il posto o ringraziano? A interpretare queste parole gesti che un tempo sarebbero apparsi scontati parrebbero divenuti fatti eccezionali, magari meritevoli di segnalazione.

Le difficoltà di comunicazione intergenerazionale sono vecchie come il mondo, ma l’impressione è che da qualche tempo si stia assistendo ad un salto di qualità (in senso negativo): nella nostra società il rapporto tra vecchi e giovani assume spesso caratteristiche di incomunicabilità e mancanza di rispetto con tratti assolutamente inediti.
Le ragioni sono molteplici: solo a titolo di esempio le recenti trasformazioni del mondo del lavoro e l’evoluzione tecnologica hanno creato un contesto in cui l’anziano non ha più quel ruolo centrale che fino a qualche decennio fa ricopriva come depositario del sapere che doveva essere trasmesso.

La vecchiaia, in una società in cui tutti sono impegnati a mostrare la propria eterna giovinezza, appare inoltre come qualcosa da tenere lontano e da esorcizzare: al massimo i nonni possono assolvere alla funzione di bancomat, di sostegno economico alla famiglia che fa quadrare i conti con le loro pensioni, di baby-sitter in mancanza di meglio.
In questa deriva va però perso anche un elemento fondamentale, che supera di gran lunga per importanza il passaggio dei saperi: la trasmissione dei valori.
Guardando però all’interno del nostro cortile possiamo trovare qualche motivo di ottimismo e che parte dalla nostra metodologia e dalle nostre attività e che ci aiuta a dire: “Non è sempre così!”

Il clima generale, l’ambiente dello scoutismo sembrano proprio costituire un motivo di speranza: un contesto in cui le persone più anziane o più mature paiono ancora ricoprire quel ruolo centrale ed essere un deposito di saggezza irrinunciabile al quale attingere.
Ho ancora negli occhi il nostro recente B.-P. day centrato sull’incontro tra i ragazzi di oggi e i membri del gruppo negli anni Settanta, un incontro riuscito che ha messo in comunicazione mondi solo apparentemente lontani ma ancora oggi in grado di parlarsi e comunicare in maniera positiva, uniti da valori comuni che sono rimasti tali e immutabili.
Se i nostri Akela e i nostri capi riparto di qualche decennio fa parlano ancora lingue che risultano perfettamente comprensibili ai ragazzi di oggi forse è il segno che la nostra pedagogia ha ancora qualcosa da dire e, probabilmente, ci permette di muoverci in maniera più efficace rispetto a quanto osserviamo in altri ambiti sociali.

Il vedere persone di una certa età che cercano di impegnarsi ancora attivamente per far vivere ai ragazzi nuove ed esaltanti avventure ha ancora qualcosa di affascinante per le giovani generazioni. Certo magari il vecchio non cammina più come il giovane – in alcuni casi anche questo sarebbe da dimostrare – ma rimane l’impressione che sicuramente possa ancora dire qualcosa su come si prepara uno zaino o su come si maneggia un’accetta o sulle astuzie da campo: se poi questo si coniuga contemporaneamente con la trasmissione di valori cristiani e più in generale etici, vediamo come il grande gioco dello scoutismo non è solo un gioco!

Se ci spostiamo dal lato dell’anziano ancora impegnato nello scoutismo si può affermare come una metodologia fondata sull’ask the boy aiuti anche il soggetto più maturo ad accettare le diversità dei giovani, a comprenderne il vocabolario diverso, e magari a cercare di capirne le esigenze senza partire necessariamente dal presupposto che i tempi passati erano migliori poiché tutte le società hanno sempre vissuto periodi di difficoltà.

A proposito di valori che le generazioni più mature possono ancora trasmettere risulta di estremo interesse un dato tratto dall’ultimo rapporto del Censis: l’impegno nel volontariato è un’attività molto diffusa tra gli anziani e tra questi nel 2012 sono stati quasi un milione (969mila), vale a dire il 7% della popolazione over 65, coloro che hanno svolto attività gratuita di volontariato o partecipato a riunioni nell’ambito delle organizzazione.
Si tratta di numeri che fanno vedere come più che un peso le generazioni più anziane siano tuttora un pilastro della società. Come dice un proverbio africano: Il giovane cammina più veloce dell’anziano, ma l’anziano conosce la strada.

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Posted in 2/2014, Preparati a Servire