Consumo, ergo sum?

Crisi: mai come in questi anni, e sempre più via via che il tempo passa senza riuscire a vederne l’uscita, questo termine ha ormai invaso i discorsi e i pensieri di tutti. Sono arrivati tanti duri colpi, e in questa situazione la famiglia si è confermata il principale baluardo della società italiana, il più importante ammortizzatore contro la crisi.

Uno studio di Federdistribuzione stima in circa il 20% in più l’aumento del prelievo fiscale negli ultimi anni, per un impatto medio di circa 1.200 euro annue a famiglia. In questo contesto la “spending review” molte famiglie italiane l’hanno già fatta da tempo, prima ancora di sapere cosa significasse tale espressione.
Non è stata una scelta tra diverse opzioni possibili, ma semplicemente una necessita imprescindibile: quando nelle case entrano meno soldi e crescono le preoccupazioni per il futuro, tagliare e razionalizzare le spese diventa una necessità.
Viene in mente in proposito un’intervista del 2009 al cardinale Dionigi Tettamanzi, ex arcivescovo di Milano. Nella consapevolezza delle difficolta che si stavano vivendo, colpiva l’accento del Cardinale nell’individuare le opportunità dei cambiamenti in corso, più che i rischi di tale situazione. L’uscita dal tunnel della crisi potrebbe significare anche l’imbocco di nuove strade, con una segnaletica fatta non solo dai numeri, dagli indicatori economici, ma innanzitutto dal rigore dell’etica, come invocato proprio in questo periodo di fronte ai nuovi scandali recenti sulle spese facili e vergognose di numerosi politici.
Al contrario, la crisi può far avvicinare a stili di vita in cui riprendano centralità termini come sobrietà e solidarietà, che forse un po’ tutti avevamo smesso di declinare.

Secondo il cardinale Tettamanzi la sobrietà è “una virtù preziosa per ricondurre il nostro comportamento quotidiano alla “giusta misura”. E’ una via privilegiata che conduce alla solidarietà, alla condivisione vera e concreta di tutto ciò che è necessario per vivere secondo la dignità umana, che appartiene a tutti senza alcuna discriminazione. Chi è sobrio vede anche l’altro”.
Sobrietà non significa o non e esclusivamente astensione o riduzione dai consumi, né il calcolo esasperato di tutto quanto si potrebbe evitare di avere e di comprare. La sobrietà è uno stile di vita complessivo: nelle parole, nell’esibizione di sé, nell’esercizio del potere, nei comportamenti quotidiani. Ai livelli più alti si è agito senza tener conto che dietro alla compravendita e alla speculazione sulle materie prime, sui titoli e sui prodotti finanziari c’erano sempre delle persone concrete, delle famiglie e dei lavoratori che da quei beni si aspettavano un vantaggio economico. E invece spesso hanno trovato imbrogli e ingenti perdite di denaro. Una parte di responsabilità è certo anche di quelle persone e famiglie che si sono lasciate attrarre dal guadagno facile, da ottenere non con il lavoro, ma con l’azzardo. Magari per sostenere e incrementare uno stile di vita al di sopra delle proprie possibilità, di certo uno stile di vita non sobrio. Ecco perché oggi si sente sempre più pressante l’esigenza di tornare al fondamento etico dell’economia, e rimettere al centro del sistema la persona umana nella totalità dei suoi valori. Una visione dell’uomo che vive, lavora e desidera solo l’atto del consumo, come di fatto si stava sviluppando fino alla crisi attuale, era una visione perdente, all’interno della quale si stava assistendo allo snaturamento della sua dignità. Nell’intervista il cardinale Tettamanzi sottolinea come l’uomo sia stato creato da Dio per amare, non certo solamente per consumare, e come esso debba consumare per vivere, non vivere per consumare. Non si mira però ad una sobrietà che si contrapponga all’idea del consumo: si deve piuttosto perseguire un atteggiamento che aiuti l’uomo a divenire responsabile anche nell’atto del consumo. “La sobrietà è la via che rende le persone responsabili nel consumare per quello che si può, per quello che serve, per quello che è utile”.

Sulla stessa lunghezza d’onda una recente omelia di mons. Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, per la festa di S. Matteo, Patrono della Guardia di Finanza. Partendo da un’analisi del brano evangelico della chiamata di Matteo da parte di Gesù, mons. Pelvi ricorda che “la ricchezza è simile a un serpente: se uno non sa prenderlo a distanza, sospendendo la bestia per l’estremità della coda, questa si avvicinerà alla mano e la morderà. Non chi ha e conserva, ma chi dà agli altri è ricco… Una concezione consumistica della vita è sempre apparentata con una visione individualistica che blocca la persona nella soddisfazione privata ed egoistica, che non migliora il mondo ma sfrutta la ricchezza a proprio vantaggio” .

Forse la crisi attuale, senza negare i problemi ad essa connessi, ci sta offrendo l’occasione per prendere il serpente nella maniera giusta.

Stefano Bertoni

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Posted in 2012, 4/2012, Preparati a Servire