Bibbia e relazioni: edificare insieme

Don Paolo La Terra – Assistente Generale

Siamo giunti alla quinta tappa, l’ultima del percorso attraverso la relazione per migliorarne lo stile e la qualità. Concentreremo l’attenzione su uno degli aspetti più importanti del lavoro di pattuglia che – a tutti i livelli associativi – siamo chiamati a declinare adeguatamente: la capacità di edificare insieme. Il brano che ci guiderà è tratto dalla lettera di San Paolo agli Efesini, dal versetto 19 al 22 del capitolo 2: anche stavolta vi chiedo di leggerlo prima di continuare la lettura.

Certamente, subito dopo la lettura di questo brano, il pensiero sarà andato quasi automaticamente al racconto evangelico della casa sulla roccia di Mt 7,24-27, e con buona ragione! Il brano di Ef 2, infatti, sembra esserne una vera e propria lastra ai raggi X, che sonda in profondità la composizione e la consistenza sia della casa che della roccia.

Il riferimento alla “casa” è chiaro: è il luogo dell’identità (e quindi non si può essere stranieri), ma anche dell’intimità (a cui gli ospiti non possono essere ammessi, almeno completamente); è il luogo della vita quotidiana, che deve essere costruita in modo solido e resistere a tutte le intemperie, che nella vita non mancano mai. La casa, per noi, è il gruppo, l’unità, i vari livelli associativi; i luoghi, insomma, dove viviamo la nostra fraternità scout.

Dopo questa precisazione, va innanzitutto sottolineato che il contesto del brano non è individuale ma comunitario: edificare non è fatto solitario o isolato e nessuna realtà può reggersi in piedi grazie al protagonismo solitario ed autoreferenziale di qualcuno. Questa constatazione dà un particolare vigore al «Voi» utilizzato da Paolo.

La comunione è con gli altri (come concittadini) e con Dio (come familiari), in perfetta linea con la tradizione biblica dell’amore di Dio e del prossimo. Viene in mente, senza fatica alcuna, l’articolo 4 della nostra legge; ma anche la chiara visione religiosa di B.P. che, in alcuni scritti raccolti in Taccuino, afferma: «Cristo ci ha detto nei termini più semplici quale dovrebbe essere la nostra religione, cioè: 1. Amare Dio; 2. Amare il prossimo. Queste massime sono al di sopra “delle leggi e dei profeti”, di differenze liturgiche e confessionali» (p. 195; v. anche p. 159). Il termine santi usato da Paolo, inoltre, non va inteso soltanto nel senso stretto del destino escatologico, ma anche nella partecipazione attiva, già qui sulla terra, alla chiamata di Grazia – operata da Cristo – che ha come obiettivo la salvezza eterna: erano, infatti, chiamati santi tutti i membri della comunità che con il battesimo erano stati incorporati al corpo di Cristo – che è la Chiesa – e chiamati a conformare a Lui la loro vita nella risposta d’amore della fede.

All’interno dell’ambiente comunitario, la costruzione deve avvenire sul fondamento degli apostoli e dei profeti, cioè sulla parola di Dio contenuta nel Nuovo e nell’Antico Testamento, così come la Chiesa li propone e tramanda; fondamenta che trovano il loro comune punto di forza e confluenza in Cristo, la Pietra angolare di tutta la costruzione e di ogni costruzione che voglia reggersi in piedi (v. 20).

A questo punto, Paolo ci presenta un capolavoro di sintesi teologica: da un lato afferma la necessità di un ordine nella costruzione (v. 21), dall’altro esalta l’azione creativa e libera dello Spirito Santo che agisce nella vita dei fedeli per portarla a pienezza (v. 22).

Sappiamo benissimo che all’interno di tutti i livelli è importante la presenza di una adeguata distinzione dei ruoli, richiesta dalla necessità di un ordinato svolgimento della vita associativa. Questa dimensione organizzativa, tuttavia, ha bisogno di coniugarsi con l’apertura fiduciosa e attenta, coltivata nella preghiera che prende le mosse dalla Parola di Dio, all’azione misteriosa e imprevedibile dello Spirito, sempre pronto a far nuove tutte le cose.

Questa riflessione è molto importante per tutte le realtà ecclesiali, ma soprattutto per noi! Papa Francesco, nel discorso tenuto a Firenze in occasione del recente convegno ecclesiale, ha evocato – a tale proposito – il pericolo del pelagianesimo, cioè dell’eresia che mette di lato l’azione dello Spirito e assolutizza l’efficacia del lavoro compiuto dalle strutture umane. Il Santo Padre ha detto: «La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: si chiama Gesù Cristo. La riforma della Chiesa poi – e la Chiesa è semper reformanda – è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa, invece, innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività. La Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante. Assuma sempre lo spirito dei suoi grandi esploratori, che sulle navi sono stati appassionati della navigazione in mare aperto, e non spaventati dalle frontiere e dalle tempeste».

Genio e creatività, esplorazione dell’ignoto, capacità di superare frontiere – magari dando un calcio all’im di impossibile – e di affrontare le tempeste: non sono questi elementi caratterizzanti dello scautismo? E, se è così, perché – oltre alla loro dimensione concreta e reale – non potrebbero/dovrebbero avere una grande rilevanza sul versante della gestione delle relazioni e dello stile che la caratterizza?

Volendo, a questo punto, sintetizzare quanto abbiamo evidenziato leggendo questo brano di Paolo, l’edificazione comune di una “casa” associativa – e non solo – solida e resistente richiede, sul versante dello stile di relazione:

✓ un radicamento forte nella comunità, sia ecclesiale che associativa;

✓ una preghiera costante che scaturisce dall’ascolto della Parola di Dio;

✓ una capacità organizzativa che ha il suo punto di forza nella complementarietà di ruoli differenziati;

✓ una docile apertura all’azione dello Spirito Santo.

Il risultato di questa costruzione, secondo Paolo, consiste nell’essere tempio nel Signore e dimora di Dio; luogo in cui Egli viene glorificato e in cui, al contempo, abita. Noi diremmo: buoni cristiani e buoni cittadini.

Un obiettivo bello e impegnativo, certamente, per ogni capo dell’Associazione.

Una volta tanto, avere gli occhi rivolti verso l’alto aiuta a tenere ben saldamente i piedi per terra.

Posted in 4/2016, Nelle sue mani