Pier Marco Trulli
Gennaio 1912: B.-P. parte per un lungo viaggio promozionale dello scautismo. Si imbarca sulla nave “Arcadian” e lì incontra Olave St. Clair Soames, la donna che diventerà sua moglie e che resterà con lui fino alla sua morte, nel 1941. L’episodio dell’incontro è raccontato dallo stesso B.-P. con la solita arguzia e spiegando anche un curioso retroscena.
La mia vita era stata costantemente occupatissima, e io non avevo avuto l’opportunità di pensare ad altre cose, come per esempio al matrimonio; il mio migliore amico, “Ginger” Gordon, del 15° Usseri, mi aveva anche molto preso in giro, trattandomi da vecchio scapolone incallito – e come gli rispondevo che non avevo nessuna voglia di sposarmi, e che d’altronde ero sicurissimo che nessuno avrebbe avuto desiderio di sposare me, mi lanciò uno sguardo ironico, dicendomi con aria di intesa: “Ci sarai preso anche tu come gli altri, caro mio, e nel momento in cui meno te lo aspetterai!”.
Capitò infatti proprio così. Ed ecco come.
Studiando l’arte di seguire una traccia, mi ero esercitato a dedurre il carattere delle persone dal loro modo di camminare e dall’impronta lasciata dai loro passi. I cercatori di tracce indigeni di tutto il mondo sanno leggere il carattere di colui di cui osservano le impronte così come ne leggono le azioni o le intenzioni.
Per esempio, la punta dei piedi rivolta in fuori denota un mentitore; una depressione all’esterno del tallone svela uno spirito avventuroso, ecc.
Proseguendo le mie ricerche, ero giunto alla conclusione ,che il quarantasei per cento delle donne sono molto avventurose da un piede, ma esitanti dall’altro, e pertanto soggette ad agire per impulsi irregolari. Era logico quindi che una eccezione a questa regola trattenesse la mia attenzione.
Ora, come entravo un giorno nella caserma di Knightsbridge – in quell’epoca ero ancora nell’esercito – notai una giovane donna accompagnata da uno spaniel.
Essa mi era completamente sconosciuta e io non vidi il suo viso, ma il suo modo di camminare rivelava uno spirito serio e retto, molto buon senso, e nel tempo stesso il gusto delI’avventura. Poi non ci pensai più.
Due anni dopo, a bordo di una nave che mi portava alle Antille, riconobbi la stessa andatura in una delle passeggere. Quando fummo presentati uno all’altro, le dissi:
“Abita a Londra, non è vero?” Ma no, stava nel Dorsetshire. La mia divinazione si trovava in errore.
“Ma non ha uno spaniel marrone e bianco?”
Infatti (sorpresa evidente).
“E non si trovava un giorno a Londra, presso la caserma di Knightsbridge?”
“Si, due anni fa”
Noi ci sposammo dunque – e fummo molto felici”.
Fu così che ebbe inizio la mia seconda vita, e con lei gli esploratori e le Esploratrici.
Questo episodio della vita di B.-P. e di Olave ci porta ad una riflessione più ampia sull’importanza dell’incontro che porta poi un uomo e una donna ad intrecciare le proprie vite, a impegnare le proprie esistenze l’uno per l’altra e a generare nuove vite.
È esperienza comune, infatti, che l’incontro che inizia una relazione sia considerato una sorta di pietra miliare del rapporto, e spesso alla coppia è chiesto di raccontarlo, di specificare cosa sia successo, che cosa abbia fatto scattare la scintilla.
E questo racconto è costitutivo non solo della coppia, ma anche dei figli della coppia, e dei loro discendenti: l’incontro diventa simbolo dell’amore e del prodotto di questo amore.
Ovviamente non sempre le relazioni iniziano con incontri così particolari o con colpi di fulmine. Spesso al contrario ci si conosce e ci si frequenta già da tempo, ma anche in questo caso il passaggio dall’amicizia o dalla semplice conoscenza alla frequentazione amorosa è uno snodo che rimane nella vita della coppia.
Ecco, nell’anno che il Commissariato sta dedicando alla “Relazione”, vorrei con voi riflettere sull’importanza dell’incontro tra l’uomo e la donna, un incontro che può essere fecondo e generare vita, dare senso all’esistenza, portare pienezza e felicità alle persone.
In quattro parole, “fate un matrimonio felice”, come B.-P. stesso ci dice.
Come educatori, non possiamo non chiederci se educhiamo i nostri ragazzi e le nostre ragazze a quest’incontro, se spieghiamo loro la bellezza di questo momento e della successiva scelta, se li aiutiamo a capire come tenere vivo l’amore, come cambiare nella fedeltà, come affrontare le difficoltà.
Senza dubbio la nostra testimonianza di Capi e Capo è fondamentale, e in proposito anzi chiediamoci che messaggio diamo ai nostri ragazzi e ragazze. Il rispetto, la stima, l’attenzione, l’importanza che diamo (o non diamo) al nostro coniuge, anche davanti a loro, valgono molto di più di mille discorsi.
Ma è necessario anche parlare con loro, chiarire i loro dubbi, dare voce alle loro aspettative, raccontare la prospettiva di amore. Su questo punto dovremo certamente lavorare, con creatività e costanza, per dare risposte ai nostri ragazzi.
È questo anche per rispondere alla sfida che viene lanciata agli uomini e alle donne di oggi: che questo incontro non sia importante ma sia anzi illusorio, frutto di convenzioni sociali e di semplice necessità di trasmissione del genere umano, mentre l’amore libero e vero possa essere da altre parti o con altre modalità.
È una sfida che oggi purtroppo trova spazi e fondamento in una mentalità ormai anti-matrimonio, in un’ideologia “gender” che nega le differenze sessuali, in un vissuto diffuso – dopo l’introduzione del divorzio – di storie matrimoniali infrante, calpestate, cariche di rabbia e di odio.
Nella bellissima catechesi del 15 aprile 2015 Papa Francesco ci spiega con chiarezza e coraggio quale sia la posta in gioco.
“Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione. Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita. Il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, lo è per tutti, non solo per i credenti. Vorrei esortare gli intellettuali a non disertare questo tema, come se fosse diventato secondario per l’impegno a favore di una società più libera e più giusta.
Dio ha affidato la terra all’alleanza dell’uomo e della donna: il suo fallimento inaridisce il mondo degli affetti e oscura il cielo della speranza. (…)
Una seconda riflessione riguarda il tema dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio. Mi chiedo se la crisi di fiducia collettiva in Dio, che ci fa tanto male, ci fa ammalare di rassegnazione all’incredulità e al cinismo, non sia anche connessa alla crisi dell’alleanza tra uomo e donna. In effetti il racconto biblico, con il grande affresco simbolico sul paradiso terrestre e il peccato originale, ci dice proprio che la comunione con Dio si riflette nella comunione della coppia umana e la perdita della fiducia nel Padre celeste genera divisione e conflitto tra uomo e donna”.
Ecco quindi la nostra grande responsabilità: “riscoprire la bellezza del disegno creatore che inscrive l’immagine di Dio anche nell’alleanza tra l’uomo e la donna”, perché “la terra si riempie di armonia e di fiducia quando l’alleanza tra uomo e donna è vissuta nel bene”.
Al lavoro, allora, e se qualcuno vorrà condividere le proprie esperienze, saremo ben felici di dargli voce.