A.A.A. Cercasi felicità

di Stefano Bertoni

“Oggi 20 marzo 2013 l’imperativo categorico è: vietato essere tristi”: così alcuni mesi fa iniziava un articolo, fra i tanti che celebravano la prima Giornata Mondiale della Felicità. A istituirla è stata, con l’accordo dei 193 Stati membri, l’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
In un suo messaggio per l’occasione il segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon ribadisce: ”Felicità è aiutare gli altri, quando con le nostre azioni contribuiamo al bene comune noi stessi ci arricchiamo. E’ la solidarietà che promuove la felicità”.
Questi avvenimenti possono sembrare irrilevanti, ma in realtà se ci fermiamo a considerarli un po’ meno superficialmente, ci accorgiamo di come da una semplice massima l’obiettivo della felicità diventa una vera e propria direttiva politica. Il problema a questo punto è capire come riempire di contenuti la felicità.
Non so se Ban Ki-Moon sia stato uno scout, ma sicuramente le sue parole sembrano pari pari quelle di un testo a noi tanto caro, l’ultimo messaggio di B.-P.: “ll vero modo di essere felici è quello di procurare felicità agli altri”.
Dunque da molto tempo lo scoutismo prima di tanti altri si fa portatore di concetti che a molti appaiono oggi così innovativi, al punto che i potenti della terra si scomodano per trovare un momento per ricordare tutto questo (dimenticandosi magari di come si tratti in fin di conti dello stesso messaggio di Cristo che lo aveva espresso con il dono della propria vita per l’umanità).
Parlare di felicità in tempi come quelli che stiamo vivendo può sembrare oltremodo difficile: lavoro che scarseggia, paura per un futuro dai contorni indefiniti in cui “i figli staranno peggio dei loro padri”, un bombardamento quotidiano di notizie e informazioni che sicuramente rendono problematico affrontare un discorso su cosa significhi realmente essere felici.
Ma forse è propri quando le difficoltà aumentano che una riflessione di questo tipo può assumere una particolare pregnanza.
Esistere e lavorare per la felicità altrui. Tutto il nostro operare e la nostra attività paiono orientate verso questo fine: dalla famiglia felice del branco dove l’atmosfera gioiosa parte tra i Vecchi Lupi per trasmettersi fino all’ultimo dei lupetti, alla squadriglia nella quale il capo si pone come guida ed esempio per i ragazzi più giovani, alle comunità dei fuochi e dei clan dove l’individuo non si sente mai solo ma parte di un insieme dove tutti sono reciprocamente impegnati in un percorso che ha la regola fondamentale nella condivisione e nel reciproco aiuto, con la mano dell’amico che unita a un sorriso diventa il miglior rimedio alle difficoltà.
“La felicità non dipende dalle ricchezze né dal successo nella carriera”: un messaggio esattamente opposto a quanto ci viene proposto attualmente a tutti i livelli: denaro, soddisfazione dei desideri più assurdi, lotta a coltello suoi luoghi di lavoro per accaparrarsi una posizione a discapito di qualcun altro.
Certo bisogna fare attenzione a non fraintendere quanto pronunciato dal nostro fondatore. Un esempio su tutti: il fatto che dalla carriera più o meno importante non dipenda la nostra felicità, non si traduce in un disimpegno del soggetto sul luogo di lavoro.
Significa anzi portare in questi luoghi la nostra etica delle cose fatte bene e portate fino in fondo, consapevoli che anche dal nostro impegno dipende il bene della comunità, il suo buon funzionamento e di riflesso la felicità e la tranquillità di tutti.
Non siamo portatori di un ”carpe diem” ozioso, inteso come “mi accontento di fare le cose alla meglio, tanto va bene lo stesso!”.
Essere felici richiede un grande sforzo per comprendere come al di là della nostra posizione e ruolo sociale, ciò che facciamo è importante, per noi e per tutti: “è ugualmente bello sbucciar delle patate per amore dei Signore, quanto costruir delle cattedrali”, scriveva Guy de la Rigaudie.
L’architetto e antropologo italiano Franco La Cecla ci ricorda che “già il credere che siamo fatti per essere felici, quella scoperta che uno fa al mattino, quando si sveglia e ricomincia una giornata, la voglia che il futuro prossimo sia meglio, la voglia di ridere, di cantare, di fare festa, di ammirare il mondo e la vita che ci sta intorno, questo è già un essere con un piede dentro la felicità”: parole che paiono quanto mai vicine all’approccio scout alla vita, vista come un slancio gioioso e positivo verso ciò che ci è stata donato.
Nel nostro piccolo ognuno di noi è chiamato a dare il suo contributo a lasciare ”il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”: un po’migliore perché qualcun altro ne possa godere e magari aggiungere anche lui il suo mattone per migliorarlo ancora, felici che il suo mattone possa poggiare sul nostro.

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Posted in 2013, 6/2013, Preparati a Servire