Bibbia e relazioni: l’apertura

IMG_0810Don Paolo La Terra – Assistente Generale

Siamo giunti alla seconda tappa del percorso che, attraverso la Bibbia, ha come obiettivo il miglioramento del nostro stile di relazione.

L’ingrediente su cui ci soffermeremo stavolta è l’apertura, e il brano della parola di Dio che ci accompagnerà sarà tratto dalla lettera agli Efesini, cap. 4, vv. 15-32. Come in precedenza, vi chiedo di leggerlo prima di continuare la lettura.

L’apertura entra in azione quando all’orizzonte della relazione si profila il conflitto, e può essere sintetizzata in una espressione: «Se nella relazione sorgono problemi, parliamone insieme: la chiarezza è un valore, non una colpa».

In effetti, il conflitto è sempre dietro l’angolo e ci ricorda che siamo irriducibili gli uni agli altri; prima ancora che una estensione, l’altro è per me un limite, che sono chiamato ad accogliere e con cui sono chiamato a misurarmi.

È l’esperienza quotidiana della vita comunitaria (vita communis maxima poenitentia – la vita comune è la penitenza più grande, dicevano gli antichi!) il banco di prova più impegnativo.

Anche in questo brano, come nel precedente della lettera ai Colossesi, San Paolo unisce la sublime dottrina apostolica alla profonda conoscenza dell’umanità e delle sue dinamiche, che, come abbiamo già avuto modo di vedere, lo contraddistinguono.

La logica del discorso di Paolo è tanto stringente quanto illuminante, e ci permette di tracciare un chiaro percorso che, partendo dal conflitto, conduce alla sua trasfigurazione in mezzo di fortificazione della relazione e via per la santità.

San Paolo traccia innanzitutto l’orizzonte all’interno del quale inscrivere la quotidianità della vita, che comprende nel prezzo anche il conflitto (v. 15).

L’orizzonte è la comunione con Cristo, capo del corpo di cui siamo membra: alla base, quindi, c’è un rapporto profondo, esistenziale e fecondo con lui; un rapporto che permette a ciascuno di decentrarsi e scoprire il suo posto accanto agli altri in una realtà organica fatta di giunture diverse chiamate a collaborare tra loro, il cui centro unificatore è lo stesso Cristo.

Se l’obiettivo è, quindi, quello di edificare il corpo di Cristo (v. 16), i poli di riferimento che servono da guida in questo impegnativo processo di edificazione, fondato sulla relazione personale con Cristo e comunitaria in Cristo, sono la verità e la carità. Insieme. La verità senza carità, infatti, può uccidere; la carità senza verità può, invece, diventare vuota accondiscendenza mascherata da tolleranza.

Sono verità e carità, quindi, i poli di riferimento all’interno dei quali declinare una relazione caratterizzata dall’apertura.

Dopo aver enunciato l’orizzonte all’interno del quale individuare obiettivo e i poli di riferimento, Paolo descrive con chiarezza il pericolo da evitare: questo consiste nell’autoreferenzialità egoistica di chi, rifiutando Cristo e il rapporto con lui, rimane schiavo delle sue passioni e del suo desiderio di prevalere per realizzare i propri interessi, a scapito sia della verità che della carità, in un accecamento che rende insensibili e duri di cuore (vv. 17-19).

È, questo, l’uomo vecchio (v. 22) che si contrappone aspramente all’uomo nuovo (v. 24).

Le caratteristiche dell’uomo nuovo sono tutte strettamente collegate, come abbiamo detto più sopra, alla relazione personale con Cristo, il “conoscere Cristo” di cui l’Apostolo fa cenno al v. 20 e al “dargli ascolto” del v. 21: essere istruiti in lui e secondo la verità che è in lui (v; 21); deporre l’uomo vecchio e la condotta di prima (v. 22); acquisire una capacità nuova di considerare le cose, le persone e la vita nell’acquisizione di una “mentalità rinnovata”(v. 23); la realizzazione di sé come dono di Dio – l’uomo nuovo è infatti creato da Dio! – nella tensione verso la giustizia e la santità.

Un cenno particolare meritano questi due termini: la giustizia è la virtù cardinale che permette di instaurare relazioni autentiche con se stessi, con Dio, con gli altri e col mondo, nel riconoscimento di ciò che si è e del ruolo che si ha: la giustizia è una virtù che rimanda per se stessa alla relazione, e quindi è da tenere presente nella gestione di un conflitto.

La santità, dal canto suo, è riferimento esistenziale e totale a Dio in una vita che di questa relazione diventa specchio limpido e cristallino.

Alla luce di questi presupposti e di queste considerazioni, Paolo si cala nella concretezza delle situazioni, formulando alcune chiare norme per il comportamento dei credenti.

Innanzitutto è da bandire la menzogna, elemento disgregante del corpo di Cristo, di cui ciascuno è membro con gli altri (v. 25).

In secondo luogo, fatto questo che ci interessa particolarmente, l’Apostolo si occupa dell’ira (v. 26). Paolo è molto realista, e sa benissimo che l’ira è uno dei sentimenti più radicati nella profondità dell’uomo. Ora, non si tratta di rimuoverla o di reprimerla, ma di riuscire ad integrarla all’interno dell’orizzonte della relazione con Cristo che si realizza nell’equilibrio tra verità e carità: si tratta, quindi, di contenerla e attraversarla, riuscendo a trasformarne il potere distruttivo in occasione di crescita. Il problema, quindi, non è quello dell’ira, ma del non trasformarla in peccato facendola evolvere in atteggiamenti e comportamenti concreti che obbediscono alla logica dell’uomo vecchio, piuttosto che dell’uomo nuovo. Di conseguenza, il problema non è quello del conflitto in quanto tale, ma della sua gestione alla luce dell’uomo nuovo in Cristo! Ed è nell’apertura che il conflitto si dischiude verso orizzonti positivi.

Per questo motivo l’ira non può essere coltivata e su di essa non deve tramontare il sole (v. 26). Nell’ira covata, inoltre, trova una eccellente “coltura” il maligno, che in essa può trovarsi a suo agio e attecchire come i batteri in un laboratorio.

Vivere il conflitto secondo l’uomo nuovo, nell’apertura, renderà inoltre capaci di un corretto uso delle parole (v. 29), che Paolo mette in diretta correlazione con lo Spirito di Dio (v. 30), dono del Risorto all’uomo nuovo e che ne deve connotare atteggiamenti e comportamenti.

Nella dinamica dell’uomo nuovo il v. 31 mette in guardia il credente da tutti quegli atteggiamenti e comportamenti che fanno decadere il conflitto verso esiti distruttivi.

Positivamente, infine, l’Apostolo invita i suoi ascoltatori ad assumere tre atteggiamenti concreti che, nella loro consistenza, sono previi al conflitto e, di conseguenza, ne devono orientare la gestione.

Il primo è la benevolenza, come atteggiamento di attenzione verso l’altro che si manifesta in un agire concreto; in altre parole, la benevolenza è disponibilità a fare per l’altro, venendo incontro alle sue esigenze.

Il secondo è la misericordia, che nell’originale greco letteralmente si traduce “ben disposto nelle viscere”: è l’atteggiamento di chi è proteso verso l’altro non in modo superficiale o parziale, ma profondo e compenetrato, desideroso del (suo) vero bene. C’è qui la capacità di con-prensione e di con-passione che nell’esperienza biblica ha sempre caratterizzato l’atteggiamento di Dio, onnipotente, nei confronti dell’uomo misero e peccatore; atteggiamento costante, peraltro, nella vita e nel ministero di Gesù (vedasi p. es. Mt 9,36; 14,14; 15,32; 20,34).

Il terzo atteggiamento è quello di una disponibilità al perdono che ha come misura “semplicemente” il perdono di Dio agli uomini, così come si è realizzato in Cristo (!). È interessante notare che la gratuità assoluta del perdono di Cristo, venuto a morire “per gli empi nel tempo stabilito” (cfr. Rm 5,6-8) viene coniugata da Paolo con la umana reciprocità.

È questa l’apertura che diventa il punto d’incontro tra dimensione orizzontale e verticale, umana e divina; non alternative né giustapposte, ma presenti e operanti insieme nel credente. È questo che farà di noi donne e uomini nuovi – della partenza – abilitati, in tal modo, ad attraversare e trasfigurare i conflitti, trasformandoli in occasioni di crescita e in opportunità di rafforzamento della relazione con le persone che ci stanno accanto.

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