Si è svolto a Firenze tra il 9 ed il 13 novembre 2015 il 5^ Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI), con la partecipazione di oltre 2.500 delegati provenienti da tutte le Diocesi italiane.
Al Convegno hanno partecipato anche alcuni Capi e Capo dell’Associazione: oltre al Presidente Antonio Zoccoletto, rappresentante ufficiale, erano presenti come delegati per le proprie Diocesi Laura Anni (Vicenza), di cui trovate più oltre un racconto personale di quest’esperienza, Chiara Campioni (Frosinone) e lo scrivente (Roma). Questa presenza testimonia l’impegno associativo nelle singole realtà ecclesiali e il riconoscimento da parte dei vescovi della nostra qualificata presenza.
Il Convegno, nonostante la vicinanza temporale ad altri due eventi importanti per la Chiesa (Sinodo sulla Famiglia e Giubileo straordinario della Misericordia) che hanno catalizzato l’attenzione mediatica, è stato senza dubbio un momento storico per la Chiesa italiana.
Papa Francesco nel suo discorso iniziale (una novità, in genere i pontefici concludevano il convegno) ha invitato la Chiesa a contemplare il volto di Cristo e a non aver paura di essere umile, evitando di restare prigionieri della “ossessione di preservare la propria gloria, la propria dignità, la propria influenza”.
Ha chiesto poi, citando San Paolo nella Lettera ai Filippesi (2,4), di non cercare il proprio interesse quanto piuttosto “la felicità di chi ci sta accanto”. “L’umanità del cristiano è sempre in uscita”, ha ricordato, e riprendendo la “Evangelii Gaudium” ha invitato i presenti a non “rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”.
Il terzo tratto proposto, dopo l’umiltà e il disinteresse, è stata la beatitudine: il cristiano infatti “è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo”. Per essere beati “è necessario avere il cuore aperto” ed affrontare una “scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento”.
Infine, il Papa ha chiesto di evitare due tentazioni: la prima, il pelagianesimo, ovvero ad avere un eccessiva fiducia “nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte”, con il rischio poi di assumere “uno stile di controllo, di durezza, di normatività”.
La seconda, lo gnosticismo, cioè il confidare nel “ragionamento logico e chiaro” che si ritiene possa confortare ed illuminare ma che in realtà rinchiude nel soggettivismo e fa perdere “la tenerezza della carne del fratello”.
I richiami di Papa Francesco hanno poi trovato un pieno sviluppo nelle “cinque vie” scelte quale traccia per il convegno e sulle quali i partecipanti sono stati invitati a riflettere e a condividere necessità e proposte.
La Chiesa italiana è stata infatti invitata ad “uscire” dai propri recinti, ad “annunciare” la Buona Novella, ad “abitare” la città dell’uomo, ad “educare” in maniera integrale le persone e a “trasfigurare” la fede nel vissuto quotidiano.
Oltre all’intervento iniziale del Papa, significative sono state le testimonianze proposte in Duomo (una donna battezzata da adulta, una coppia di divorziati risposati dopo l’annullamento dei rispettivi matrimoni, un profugo accolto da un parroco fiorentino ed ora lui stesso prete) e quelle offerte durante il convegno in presentazione delle “cinque vie” (un sacerdote salesiano che apre la sua parrocchia ai giovani il sabato notte, una docente della scuola secondaria, un famoso scrittore, un giornalista e un cappellano universitario pellegrino sul Cammino di Santiago de Compostela).
Un altro momento forte è stata la liturgia eucaristica celebrata allo Stadio di Firenze, che ha visto convenuti oltre ai delegati tantissimi fiorentini per un’occasione davvero speciale.
Si è arrivati infine al lavoro comunitario dei delegati, suddivisi nelle “cinque vie” ed organizzati in piccoli gruppi di dieci persone l’uno, via via raggruppati per arrivare alla sintesi finale. È stato veramente un momento di ascolto e di condivisione reciproca, con i delegati impegnati in un incontro fraterno e ciascuno interpellato a dire la propria e ad ascoltare gli altri, per poi tornare nella condivisione assembleare. Uno stile sinodale, sull’esempio dei due recenti Sinodi sulla famiglia, che è certamente impegnativo ma che ha fatto vivere ai delegati un sentimento forte di Chiesa, con la consapevolezza di sperimentare un cammino ecclesiale vero ed unitario.
In conclusione, un’esperienza forte da riportare nelle Diocesi e nelle realtà di provenienza, con la consapevolezza che il cammino iniziato dovrà poi essere continuato negli anni a venire, superando le difficoltà, le chiusure e le paure che hanno in parte condizionato questi ultimi anni.