Donne nella Bibbia – Giuditta

Il ritorno di Giuditta a Betulia Il ritorno di Giuditta a Betulia, Sandro Botticelli

di suor Fulvia – Monaca Agostiniana

Non è bene che l’uomo sia solo…

Le nostre conversazioni bibliche hanno come interlocutrici alcune delle donne che popolano la Scrittura e che animano, con la loro fede femminile, la storia della salvezza.
Questo dialogo sarà utile a tutti, uomini e donne, per ricomprendere (letteralmente comprendere-di-nuovo o in modo nuovo) la donna, la femminilità e l’uomo con la sua mascolinità.
«Non è bene che l’uomo sia solo!» Non è bene che l’uomo si spieghi da solo, ragioni da solo, viva come se fosse solo; non basta a se stesso, né basta ciò che ha capito di se stesso.

La riflessione che vogliamo proporre è urgente ed è insieme un’opportunità che non dobbiamo perdere. Soffriamo tutti in un tempo difficile, segnato da molte contraddizioni: nell’epoca del diritto ad oltranza, delle quote rosa e delle pari opportunità, della teoria del gender e dei corsi di educazione sessuale, mai come oggi la donna ha una dignità svilita e di basso profilo.
Ridotta al suo corpo, la donna sembra avere solo due possibilità legate anche alla sua fortuna: se infatti le sue misure glielo consentono può interpretarsi come seduttiva e vincente conquistandosi un’attenzione che passa dallo sguardo e dunque dal giudizio altrui; diversamente si mascolinizza, punta al potere, alla carriera, riesce a tirar fuori da sé una virilità che spesso la rende caricatura di se stessa, prigioniera del suo stesso travestimento. Questa donna, in un modo o nell’altro è una donna sola, una single, mai feconda o, grottescamente, madre per diritto con figli su ordinazione.

La rinuncia alla femminilità in nome di un posto al sole è il peccato di Eva nel terzo millennio, l’idolatria femminile di oggi: il tradimento di un’identità.
E -se è vero che ogni peccato ha una ricaduta- allora se la donna non è più tale: l’uomo si smarrisce, perde cuore, forza, vigore, autorità e paternità. Una femminilità distorta genera figli di natura ambigua: ragazze volgari o manesche, uomini depilati che frequentano centri estetici, ragazzi dalla gestualità effeminata, narcisisti e innamorati di sé, incapaci di accogliere e custodire, totalmente mancanti di quel senso di protezione che un uomo per sua natura trasmette; oppure uomini che per ribadire la loro identità maschile devono possedere una donna, dominarla, renderla oggetto d’uso fino al consumo successivo.
Tutto questo può iniziare anche molto presto, non c’è più da attendere l’adolescenza o la gioventù: in nome della libertà abbiamo permesso che tutto avvenisse molto prima. Deprecabili fatti di cronaca ce lo confermano.

Per essere madri e padri delle future generazioni, madri e padri nella vita, nella fede, nello Spirito, custodi della parte migliore della creazione, dobbiamo metterci alla scuola di chi l’ha saputo fare prima di noi.
Tornare a lezione di umanità, ascoltare con umiltà i racconti di Dio per farci ri-dire chi siamo e come siamo ed essere felici nella terra che il Signore nostro Dio ci ha dato (cfr. Deut 5,33).
Molte pagine della Scrittura sono dedicate a questo, quasi che Dio abbia davvero a cuore le nostre identità! Possiamo crederlo?

… gli voglio fare un aiuto (Gen 2,18)

Sfogliando la Parola incontriamo un libro dedicato ad una donna: Giuditta.
Vale la pena di leggerlo tutto, da cima a fondo: inserito in una raccolta di libri cosiddetti storici, ci racconta appunto una storia, una vera e propria avventura!
Parlare di Giuditta in poche parole è impossibile: la Scrittura dedica alla sua vicenda 16 capitoli e tutti i primi 7 ci preparano solo all’incontro con la protagonista.
Già dalla ouverture dell’opera possiamo intuire la tonalità solenne e impegnativa del racconto.
La prima scena si apre accendendo due spot su due re e sulla loro potenza, due re e due regni evidentemente rivali, che dispiegano la loro grandezza; l’autore sacro non si risparmia in dettagli, misure e numeri, con il solo intento di spaventarci: ci presenta una città pressoché inespugnabile, Ecbàtana dei Medi, per farcela vedere demolita dopo pochi versetti, spazzata via dalla storia dalla potenza più forte e inarrestabile di Nabucodonosor, re degli Assiri.
Re violento e facilmente annoverabile tra i cattivi, ha al suo seguito un esercito potente e numeroso come le cavallette e la polvere del suolo (Gdt 2,20), e al suo servizio un uomo brutale, un certo Oloferne, esecutore sanguinario degli ordini del suo re (Gdt 2,4 ss.).
Il male si organizza, gli eventi sembrano già scritti: Nabucodonosor conquisterà e saccheggerà la terra così come ha minacciato di fare.
Nessuna ricerca archeologica ci aiuterà a scoprire se quanto è descritto minuziosamente sia vero.
La Parola di Dio vuole invece aiutarci a prendere coscienza che il male c’è ed è pericoloso: si serve del peccato degli uomini, dei nostri peccati, della nostra superbia e ingordigia, per organizzarsi e conquistare, demolire, distruggere, saccheggiare la nostra vita di quello che di bello e di bene ci è donato.
E’ mai possibile che non ce ne accorgiamo (Gdt 1,11)?
Che basti un’alleanza sbagliata, un passo falso per vederci spazzati via dalla storia (Gdt 1,12)?

San Giovanni Paolo II in una meravigliosa lettera enciclica, la Sollicitudo rei socialis, riprende un tema a lui caro, già proposto nell’esortazione apostolica Reconciliatio e paenitentia (§16), parlando di strutture di peccato, ricordandoci che sempre il male, anche il male sociale che caratterizza le società nella loro storia, si radica nel peccato personale ed è sempre collegato e collegabile ad atti concreti delle persone che lo introducono, lo consolidano e lo rendono difficile da rimuovere.

Il male a volte si sceglie, altre volte si asseconda: nell’uno o nell’altro caso siamo chiamati a responsabilità.
Il racconto incalza e ci porta a Betulia. Luogo irrintracciabile, si direbbe inesistente, eppure rilevantissimo nel suo significato: Betulia infatti traduce vergine del Signore ma anche casa di Dio. I suoi abitanti sono colpiti da vera malasorte: sotto assedio da 34 giorni (Gdt 7,17ss) privi di acqua, minacciati da Oloferne, già preceduto dalla sua terribile fama. Tutto fa presagire la tragedia. Il popolo cade stremato dalla sete (Gdt 7,22). Le ultime speranze sono riposte nei saggi della città, in quegli uomini timorati di Dio che cercano di procrastinare la resa per altri 5 giorni, supplicando Dio.

Ma facciamo un passo indietro e facciamo anche due conti: è mai possibile che una cittadella così insignificante, un punto assente sulla carta geografica, tenga impegnato un esercito di uomini violenti e assassini? Si contano 170.000 fanti, 12.000 cavalieri, aggiungendo un numero ingente di aggregati.
Questi numeri non sono casuali, l’autore li usa per dire a noi che tutto il male, tutto il nemico è contro di noi, contro ognuno di noi. Ma se valessimo veramente niente basterebbe molto meno ad annientarci, non credete? Se Betulia fosse davvero nulla, se casa di Dio con il suo popolo non servisse a nulla, perché accanirsi così? Tutto sembra sproporzionato o così deve apparire.
Betulia ha una missione. Dovrà scoprirla e farla sua. In questi eventi dai colori scuri, Betulia sta ricevendo la sua vocazione, ma ancora non se ne rende conto: ora ha solo paura.

Continua…

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Posted in 2/2014, Nelle sue mani