Diamogli un buon motivo per alzarsi!

di Stefano Bertoni @Bertoni2Stefano

Adesso sono le sette di sera. Rabbuia. Per il resto del mondo si avvicina l’ora di cena. Non per te e la tua tribù. Per voi nessuna ora si avvicina o si allontana. Né l’ora sociale –quella degli orologi, del consesso umano -, né l’ora naturale – l’alternarsi di luce e buio … – sembrano poter influire sull’andamento delle vostre vite.

È un passo del libro più recente di Michele Serra, Gli sdraiati, che non ha mancato di suscitare molto clamore mediatico.
Seguendo il discorso del padre protagonista che parla, del suo rapporto/non rapporto con il figlio giovane adolescente, sono cominciati ad affiorare alcuni dubbi.
Sicuramente nella descrizione delle abitudini di vita dello sdraiato potremmo riconoscere molte caratteristiche dei nostri ragazzi (pur con tutte le sfumature possibili e con le accentuazioni dovute alla ricerca dell’effetto letterario). Nella lettura ciò che mi colpisce è che, al di là della fotografia ben riuscita di molte situazioni (camere in condizioni disastrose, ragazzi perennemente distesi sui divani ad armeggiare con i loro iPad, iPod e iPhone, assoluta assenza di regole ed orari, ecc. ), stento però a ritrovare un tentativo di capire perché il giovane protagonista sia proprio così.

Il padre/autore ha l’impressione che l’assenza di comunicazione non sia più inscrivibile nello schema classico del conflitto  genitore/figlio con il secondo che cerca, come è nell’ordine naturale delle cose, di affrancarsi per conquistare una sua dimensione di
autonomia ed entrare anche lui finalmente nel mondo degli adulti, ma sia un fenomeno dai connotati inediti.
Nei giovani del libro mancherebbe qualsiasi spinta a voler diventare adulti, a diventare un giorno come loro. Ma se succede questo è lecito chiedersi: “Dove ci siamo fermati?”.
Forse guardandoci dentro (tutti, senza esclusione, anche noi scout che non viviamo sulla luna) qualche motivo però riusciremmo a trovarlo: in effetti un problema è che l’adulto medio di oggi pare affannarsi nella rincorsa a voler sembrare giovane a tutti i costi!
Se non ci auto-giustifichiamo subito dietro il solito “ma noi non siamo così …”, potremmo cogliere facilmente i segnali che portano in questa direzione:

  • abbigliamento (non è raro che il look dei figli e dei genitori sia a volte indistinguibile, con somma gioia dei creatori di moda che così prendono due piccioni con una fava);
  • frequentazione con la medesima assiduità degli stessi mondi virtuali (twittano di più gli adulti, i nostri politici o i nostri ragazzi?);
  • valanghe di tempo dedicato alla cura del proprio corpo (i ragazzi sono in vantaggio perché le rughe devono ancora comparire) per cancellare i segni del tempo (“ciao caro, io vado in palestra, per cena puoi fare da solo, scalda la pizza nel microonde, papà arriva tardi perché è fuori per l’aperitivo con gli amici…”);
  • serate negli stessi locali e con le stesse modalità (qui gli adulti, se lavorano naturalmente, sono addirittura in vantaggio perché magari hanno più soldi da spendere);
  • stessa musica; stessi programmi tv; magari una buona fetta delle domeniche libere a passeggio nei dei centri commerciali (dove magari incrociano figli e nipoti con gli amici “Ma guarda!! Anche tu qui?”). 

In buona sostanza: perché un giovane dovrebbe voler diventare adulto se l’adulto vuole in tutto e per tutto somigliare ai giovani?
Forse una chiave per provare, nel nostro piccolo, a modificare qualcosa sta nella descrizione del capo di B.-P., inteso come uomo-ragazzo, non nel senso che si comporta come un bambino o come un adolescente, ma nel senso di colui che osservando e cercando di capire esigenze, prospettive e desideri del ragazzo, cerca di proporgli un orizzonte e un obiettivo da raggiungere.

È evidente che per catturare il pesce dobbiamo usare l’esca giusta e che se alla trota piace il lombrico è inutile che all’amo attacchiamo una foglia di lattuga: proporre le nostre attività partendo dal presupposto “Oggi ti annoierai, ma in futuro ne capirai l’importanza” oppure, come il padre del ragazzo nel libro di Serra “Dovresti venire con me al Colle della Nasca. Tu non hai idea di come ti piacerebbe…” è un collaudatissimo sistema per svuotare le nostre sedi.
Una soluzione potrebbe invece risiedere nel perseguire un altro modello educativo, esemplificabile con questo dialogo tra un maestro e una bambina che suonava più o meno così:

Maestro: «Che cosa ti piace di più?»
Bambina: «La cucina!»
M.: «E a scuola quale materia ti piace di meno?»
B.: «La matematica»
M.: «In tutta confidenza, Non piace neppure a me! Che ne dici, a proposito di cucina, se invece della lezione di matematica oggi preparassimo un dolce da mangiare poi con gli amici?»
B.: «Siii!»
M.: «Bene! Allora facciamo insieme l’elenco degli ingredienti, calcoliamo le quantità, vediamo quanto costano e quanti soldi ci servono per fare la spesa… Dunque 1,5 euro per la farina + 1,90 euro per le mele… Quanto costa il lievito?»

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Posted in 1/2014, Preparati a Servire