Associazione e famiglie: suoniamo la stessa campana?

Se guardiamo al lavoro dei nostri capi uno degli scogli più difficili è quello del rapporto con le famiglie dei ragazzi che ci vengono affidati. Se il metodo continua a rispondere in maniera efficace nell’ambito dei rapporti capo/ragazzo, i mutamenti sociali e culturali a cui è stato sottoposto l’istituto della famiglia hanno aumentato sensibilmente la complessità del quadro.
Alla tipologia familiare tradizionale se ne affiancano sempre più spesso altre, come le famiglie monoparentali, cioè quelle situazioni in cui un genitore vive solo con la propria prole e il/la partner vive sotto un altro tetto, o quelle ricostituite, quando due adulti formano una nuova famiglia in cui uno di loro o entrambi portano un figlio avuto da una precedente relazione. La ricostituzione in seguito ad un divorzio significa spesso l’aggiunta di uno o due genitori “sociali” oltre a quelli biologici.
È importante partire dal presupposto che, nel caso in cui si abbia a che fare con ragazzi che vivono situazioni del quadro familiare in stato di transizione, essi si trovano all’interno di processi in cui una nuova struttura familiare ha la necessità di rivedere tutto il quadro dei rapporti tra i propri membri.
Alle difficoltà quotidiane delle famiglie e dei ragazzi si può aggiungere quella del rapporto con un’Associazione come la nostra, che ha i suoi solidi riferimenti nelle indicazioni della Chiesa a proposito della famiglia o del matrimonio.
Nell’ambito di numerosi nuclei familiari, compresi quelli cattolici più tradizionali, va aggiunto come si sia notevolmente abbassato e
annacquato il livello di educazione ai valori della fede cristiana e, contemporaneamente sia diminuito notevolmente il tempo che i genitori dedicano al rapporto diretto con i propri figli.
Uno dei rischi che da sempre si corre nella proposizione delle nostre attività, in questo contesto, è quello di essere visti semplicemente come un parcheggio e non come un’agenzia educativa e cinghia di trasmissione di valori cristiani e civili. Pur nella consapevolezza che, comunque, il capo non si può sostituire e non deve confondere il proprio ruolo con quello dei genitori, esistono comunque approcci e strumenti che possono facilitare il nostro lavoro.
Se siamo consapevoli che tra ragazzi e genitori vi sono delle difficoltà legate alla scarsa quantità di tempo dedicata allo scambio e all’ascolto reciproco, abbiamo senza dubbio la possibilità di attingere al patrimonio costituito
dalle per la progressione individuale dei ragazzi: una specialità lupetto/coccinella o guida/esploratore può spesso prevedere la possibilità che il ragazzo debba confrontarsi con il genitore.
Questo può aiutare da un lato ragazzi e genitori a sviluppare il rapporto reciproco (fare qualcosa insieme è l’occasione per parlare di altro e di dimostrare un interesse reciproco), e nell’ambito del rapporto capo/genitore far
vedere il desiderio da parte dell’associazione di valorizzare il ruolo genitoriale in un percorso in cui associazione e famiglia non sono due rette parallele che non incontrano mai.
Relativamente all’annacquamento dell’educazione alla fede in ambito familiare, sottolineato nei Carrefour dell’ultima assemblea, vanno prese in considerazione tutte le occasioni possibili di coinvolgimento contemporaneo di famiglie e ragazzi. I tempi “forti” dell’anno liturgico sono ricchi di opportunità per realizzare momenti all’interno dei quali ragazzi e genitori possono essere coinvolti contemporaneamente. È importante che, anche occasioni come riunioni di genitori per spiegare le caratteristiche di qualche attività, calendari, questioni logistiche, ecc. vengano curate non trascurando i momenti di preghiera comune all’inizio e alla fine, proprio come si fa normalmente con i nostri ragazzi: si tratta in buona sostanza di lavorare perché le “campane suonino allo stesso modo”.
In diversi gruppi all’interno dell’associazione si stanno sviluppando poi anche attività periodiche all’interno delle quali i genitori vengono chiamati a giocare insieme ai propri ragazzi o a vivere esperienze formative con le modalità simili a quelle che vengono proposte ai ragazzi.
Si tratta di approcci molto interessanti che mirano ad aumentare la qualità del rapporto tra capi, gruppi e famiglie puntando ad un coinvolgimento maggiore di queste  ultime  e  cercando  far  vedere  come l’associazione si proponga come supporto all’educazione familiare. Parallelamente al lavoro diretto con i genitori deve essere dato spazio ad un lavoro specifico con i ragazzi. A titolo di esempio nelle seconde branche in cui si può registrare in maniera crescente il distacco dalle famiglie d’origine ritrovarsi a gestire i naturali conflitti con i genitori, che devono essere chiariti in primo luogo con i genitori stessi, senza parteggiare per l’uno o l’altro né tradire la fiducia dei ragazzi. Nella terza branca vanno infine affrontati gli aspetti di esclusività, fedeltà, fecondità, leggendoli anche alla luce della nostra promessa e della legge. Anche qui le relazioni con le famiglie, in genere meno forti rispetto alle altre branche, vanno comunque curate anche per leggere meglio i comportamenti dei ragazzi e aiutarli nell’interiorizzazione dei modelli e nelle scelte. Il compito che ci attende come capi non è certamente semplice, ma va perseguito con fiducia: le famiglie hanno le potenzialità e le risorse per essere veramente un segno concreto dell’amore di Dio!

Stefano Bertoni

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