Relazioni e abilità manuale

Michela Bertoni e Marco Platania – Commissari Generali
Se imparerai a farlo con le cose, domani lo farai con le persone..”

Quando B.-P. codificò in 4 punti i cardini dell’educazione scout, aveva in mente senz’altro i ragazzi e la società dei suoi tempi.

Al fine di offrire un’opportunità ai tanti ragazzi svogliati o che sembravano già non avere ambizioni, pensò di proporre all’interno dello scoutismo delle attività peculiari, spesso prossime ai lavori manuali di quei tempi, che li spronassero ad essere creativi ed a mettersi in gioco: la partecipazione a queste esperienze educative offriva loro la possibilità di far proprio anche lo stile dell’impegno e dell’applicazione (…un lavoro ben fatto!), caratteristica poi molto utile nell’ambito professionale.

Fin qui è storia e cultura scout, oltre che, naturalmente, esperienza anche personale di noi che stiamo leggendo e che abbiamo visto nel nostro servizio come le attività di abilità manuale producano ancora questi effetti sulle nostre ragazze e sui nostri ragazzi.

In più, abbiamo sicuramente potuto osservare come durante un’attività di questo tipo possano innescarsi in modo molto naturale dei meccanismi relazionali che arricchiscono ulteriormente tali tipi di esperienze: smorzare tensioni, fare spirito di gruppo, scoprire la bellezza dell’offrire e dell’offrirsi, ecc.

E fin qui, probabilmente, niente di nuovo.

La riflessione che invece vogliamo proporvi è un po’ più sottile, perché appartiene di più alla cultura del nostro tempo, cultura che dobbiamo saper capire ed interpretare.

Oltre che ad una relazione creativa con le cose, l’abilità manuale offre, al ragazzo e alla ragazza, la capacità di saper aggiustare le cose, li aiuta a comprendere che non occorre buttare via un oggetto quando si rompe, se è possibile ripararlo.

Attraverso il gioco, lo scout e la guida si impadroniscono dell’abilità che è nelle loro mani, riuscendo a smontare e rimontare gli oggetti, scoprendo come sono fatti e come funzionano, e imparando, quando non riescono, a non arrendersi ma a tentare di migliorare per gradi.

Attualmente tutto ciò sembra quasi essere fuori moda: quando una cosa si rompe, la butto; quando una cosa non funziona, cambio; non è importante capire perché e come, ma solo arrivare al risultato.

Ed è incredibili come la cultura del consumo passi naturalmente dalle cose alle persone: le relazioni sociali (lavoro, amicizie, matrimoni) oggi rischiano infatti di essere così. Vengono abbandonate precocemente perché non corrispondono da subito ad ideali fantastici, sono interrotte in fretta perché non si ha la pazienza di capire, di faticare, di aspettare il tempo giusto, o cristianamente parlando, la forza di perdonare per ricucire lo strappo.

La cultura consumistica che i nostri tempi ci propongono per i prodotti rischia di allargarsi anche alle relazioni, vissute in fretta e per il tempo necessario a trarne soddisfazione, per poi abbandonarle una volta ottenuto lo scopo.

Alla cultura dello scarto, che più volte Papa Francesco ha evidenziato come uno dei mali peggiori dei nostri giorni, lo scoutismo può senz’altro rispondere con la cultura dell’accoglienza che può passare, con i nostri mezzi, anche attraverso la buona abitudine a non buttare via le cose semplicemente perché non sono perfette (ammesso che esista un concetto umanamente condiviso di perfezione).

E così, anche educando ad una relazione positiva e costruttiva con le cose, potremo sperare di formare uomini e donne capaci di relazioni positive e costruttive con le persone, e quelle mani, utilizzate per dipingere, tagliare, creare saranno le stesse in grado di sostenere una persona in difficoltà, di dimostrare sincera tenerezza, di accogliere una nuova vita.

Posted in 2/2016, Editoriale