Abramo, il Capo che ha fede

Il sacrificio di Abramo - Il Veronese - XVI sec Il sacrificio di Abramo, di Paolo Caliari detto Il Veronese, XVI secolo

di don Fabio Menghini, Assistente Nazionale Branca Esploratori

Tutta la storia della Salvezza è indice di una costante attenzione di Dio verso l’uomo che, dopo il peccato originale, si trova smarrito in sé stesso e per sé stesso; proprio Dio inizia il suo cammino di rivelazione all’uomo e lo accompagna con concreti segni di alleanza nei confronti dei suoi figli. Copre la nudità di Adamo ed Eva, indica nell’arcobaleno un nuovo patto fra Sé e gli uomini.

Ci sono altri segni che Dio manda al suo popolo: sono i patriarchi, i quali diventano per il popolo di Israele immagine della premura e insieme dell’autorevolezza di Dio perché indicano, con la loro vita e con le opere che Dio stesso compie attraverso di loro, il segno
della cura che il Signore ha e mantiene nei confronti del popolo che si è scelto.
Abramo, padre di molti popoli, è l’amico di Dio, colui che riceverà la promessa di una discendenza numerosa come le stelle del cielo. Dentro quella discendenza ci stiamo anche noi, così come anche ciascuno di noi è l’erede della promessa “fatta ad Abramo nostro padre, e alla sua discendenza, per sempre”.

Dio si fida

Cosa è però nei fatti ciò che contraddistingue lo stile di Abramo? E’ sicuramente l’obbedienza nella fede. Anche Abramo fidandosi di Dio deve compiere quella benedizione che Dio gli ha dato: deve egli stesso divenire infatti benedizione per il suo popolo. La sua vita lo porterà ad essere ciò che Dio da sempre ha pensato per lui.

Dio si è fidato di lui per primo, adesso Abramo deve rispondere a questa fiducia. Deve abbandonare il suo posto privilegiato di Abram, ossia di padre elevato, sublime, per divenire Abramo, padre di molti popoli. Deve insomma come ciascuno di noi, accettare di mettersi in cammino.

L’iniziativa del progetto è sempre di Dio, è Lui che suscita, è lui che chiama, è lui che da la forza di perseverare. Dio è il fedele per sempre, non ritratta, semmai siamo noi che non siamo fedeli alla immensa fiducia che egli riversa su ciascuno di noi, fiducia che anche se da parte nostra è tradita, Dio stesso è sempre pronto a riallacciare.
Solo dando fiducia si suscitano atteggiamenti che genereranno ulteriori percorsi di fiducia. La fiducia è quell’atteggiamento che noi dobbiamo mostrare nei confronti di chi ci è affidato, nei confronti di chi cammina con noi. Fidarsi è un po’ affidarsi, ma anche Dio ha scelto noi, si fida di noi, per il suo progetto, ci mette in mano i suoi figli, ci chiede di collaborare con lui. Fiducia e misericordia stanno alla base per qualsiasi percorso duraturo. Fiducia da parte di Dio insomma che va ricambiata; all’inizio della sua vicenda Abramo è invitato a andare via dalla sua terra, dalle sue certezze, deve uscire dalla propria vita per rientrarci e riappropriarsene pienamente e prender sempre più coscienza della sua missione. L’invito appare crudo:  «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gn 12, 1-3).

Dio è benedizione

In realtà è l’invito ad aderire ad un progetto ancora più grande che implica però, come abbiamo detto sopra, un grande atto di fiducia in Dio. Abramo porterà dietro i suoi averi, le sue cose, la sua famiglia. Lungo il suo percorso di obbedienza li riscoprirà suoi davvero nella logica del dono. Non ci inganni l’abbondanza apparente: Abramo ha visto la morte di suo fratello ed inoltre Sara è sterile. Sterilità e discendenza non vanno bene insieme se non nella logica della benedizione di Dio stesso che  mostrerà il suo intervento rendendo feconda la promessa stessa fatta ad Abramo. Quella benedizione che Dio aveva esteso
all’umanità si è infranta contro il tentativo dell’uomo di arrivare a Dio da solo, con le proprie forze, nel credere di poter attuare una sorta di auto-benedizione tutta umana, simboleggiata dal fallimento di Babele, della sola lingua in grado però di affermare solo
l’autosufficienza dell’uomo di fronte a Dio.La dispersione delle lingue troverà una simmetria nella Pentecoste dove invece il medesimo Spirito soffierà e ciascuno comprenderà nella propria differente lingua l’unico progetto salvifico di Dio, benedizione che viene dall’alto, comunione che precede la differenza, dignità che precede la classe sociale, l’appartenenza e la razza.

E’ affascinante il fatto che la benedizione che Dio aveva riservato a tutta l’umanità adesso insiste su uno solo, cioè su Abramo, che diverrà a sua volta mediatore di questa stessa benedizione per tanti. Lui stesso sarà chiamato ad accettare questo progetto su di se e a mettersi in cammino per dare l’esempio al popolo di cui sarà padre.
Deve aderire infatti al progetto di Dio personalmente, di fronte ad una evidenza che nel momento del suo accogliere il progetto di Dio appare contraria. E’ solo, solo con Dio, ma questo gli basta.

Il Sì a Dio

Il dono che Dio stesso gli prepara, che è figura di Dio stesso che si fa dono, appare sproporzionato alla situazione e alla vita di Abramo, ma tutto è grazia, basta affidarsi. Anche per noi Capi l’adesione al progetto di Dio, pur immersi in una comunità, è
profondamente personale. Nessun altro può rispondere di si al nostro posto, nessuno può realizzare la nostra vita al nostro posto, dobbiamo far spazio a Dio ed affidarci alle sue mani, al suo progetto.
È opportuno qui riflettere e fare memoria riguardo a chi abbiamo dato la nostra disponibilità il giorno che ci siamo assunti un  impegno in Associazione; sicuramente al Capo Gruppo, semmai al Commissario di Distretto, Regione, di Branca, Nazionale…
Ma abbiamo detto di si alla destinazione che prima di essere un luogo è già il progetto di Dio stesso e, in definitiva, abbiamo risposto di si a Dio, ce ne siamo ricordati di dirgli di si?

Vattene dalla tua terra

E’ singolare nella vicenda di Abramo questo pressante invito a uscire, ad andare incontro alla vita che significa anche rileggerla, metterla in discussione, vedere il passato con categorie nuove e slanciarsi al futuro con speranza: l’invito Dio lo rivolge personalmente ad Abramo ma le conseguenze, come ogni azione nella vita, risplendono o gravano anche sugli altri a seconda se il si è detto o meno a Dio.
Sarebbe interessante riflettere sull’influenza delle motivazioni che muovono il nostro agire rispetto all’azione pastorale che svolgiamo. Papa Benedetto ci ha ricordato che nella Chiesa o siamo al servizio o ci stiamo servendo di lei per altri fini. La nostra risposta è sempre personale ma la nostra responsabilità è sempre ecclesiale e questo rende ecclesiale anche lo stile personale della nostra risposta stessa. Quale prospettiva si trova di fronte Abramo? Quale certezza? Lui di certo è l’amico di Dio, prontamente obbedisce, si mette in ascolto della sua volontà e la traduce in fedele pratica e sequela: non obietta né chiede, né fa domande, si prepara e parte.
Abramo è coraggioso a fatti, si mette in gioco, accetta la sfida di percorrere una terra straniera per giungere alla promessa da Dio.
La vicenda di Abramo evidenzia che nella sua vita c’è una sola stabilità, una sola certezza: Dio stesso e la sua santa volontà, il voler aderire pienamente. Le prove della vita di Abramo, non ultima la vicenda di Isacco, mostreranno come egli aderisce anche quando
non capisce e attraverso quello che fa e come reagisce, tocca con mano, se così possiamo dire, quanto è grande la sua fiducia in Dio che lo ha scelto e che ha posto in lui ogni fiducia.

Senza sapere dove andava

Nella lettera agli Ebrei al capitolo 11 l’apostolo Paolo, parlando della fede, commenta la risposta di Abramo alla chiamata di Dio dicendo che per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava; sempre per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Instabilità nella stabilità dunque?
Quale è la vera sorgente di ogni stabilità e di ogni fiducia? Quale roccia in una città fatta di tende seppur sulla terra che è tua perché ti è stata promessa? E’ Dio stesso la nostra unica stabilità, in lui dobbiamo restare radicati. Il resto è pellegrinaggio, in movimento ma sempre fermi, tutto è mezzo, uno solo è il fine: Dio solo e la sua santa volontà, unica roccia e unico punto fermo.
Ecco perché ad Abramo non interessa sapere dove và, ne lo chiede: è Dio che deve dargli in eredità un luogo, la condizione è partire, poi Dio provvede a portarlo verso il “luogo” della promessa. Abramo si fida di Dio, è l’unica certezza che ha, questo gli basta, è  stabile per sempre.

Allora la promessa non diviene più semplicemente un luogo, ma è la fedeltà e l’appoggio di Dio stesso per chi lo segue e la certezza che con Dio ci si realizza e tutto diviene segno di quella terra benedetta che continuamente si apre di fronte a chi fa la sua santa volontà. Muoversi fidandoci di Dio significa essere consapevoli che il possesso vero della terra che Dio ci promette consiste nel saper dare a tutto il giusto valore, nel vedere e nel pesare le cose con gli occhi di Dio; possesso è dunque giusta relazione, giusto posto.
Si possiede veramente non per proprietà, ma se si è carpito il senso di quello che ci è donato, di quello che si vive, nella prospettiva del disegno di Dio, ossia si comprende semmai strada facendo ma nell’immediato il criterio è affidarsi al Signore non senza
preghiera e discernimento, attenti ai segni e alla voce dello Spirito che Dio anche attraverso la vita personale e comunitaria ci mette innanzi.

È la volontà di Dio infatti, continua Paolo, che ci immette nel possesso dei possessi che è il prepararci alla patria migliore e desiderare quella sola, cioè quella dei cieli. Tutto il resto, essendo la nostra patria nei cieli, ci rende qui appunto stranieri e ospiti.
E’ lo stile di Abramo, deve divenire il nostro stile nella consapevolezza che tutto da Dio viene e a lui ritorna. Siamo amministratori, non padroni, quaggiù; al posto di prendere e dare dobbiamo imparare ad accogliere e ridonare nella logica che tutto è dono, dono di
Dio. Riscoprire questo significa anche scoprire che siamo un dono di Dio a noi stessi e agli altri, e questo si realizza offrendoci continuamente a Lui. Abramo ha offerto al suo Dio la sua vita e sacrifici, alzato altari e immolato vittime proprio in segno di voler rendere a Dio grazie di ogni avvenimento significativo della propria vita.

Credo che ogni Capo possa confrontarsi con lo stile di Abramo, la sua fede, il suo coraggio; ciò che siamo chiamati a vivere è nell’ottica della consapevolezza di chi sa che il proprio servizio è nella Chiesa e per la Chiesa e sopra ogni altra cosa per la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime.
Siamo con Abramo investiti personalmente di un compito che mette in movimento la nostra vita, che ci fa uscire da noi stessi per  andare incontro alle sempre differenti vicende, esigenze e sensibilità di Capi e ragazzi a noi affidati che interpellano il nostro metterci in gioco che ha come unica sicurezza il compiere con gioia la nostra missione di cristiani nel mondo, di essere benedizione di Dio per il mondo.
Credo che ogni Capo possa vedere nella costanza di fede di Abramo quella stabilità e fermezza che è sorgente e arrivo di ogni altra stabilità nel servizio, presupposto appunto perché il nostro servizio sia stabile e abbiamo la gioia e la forza nelle avversità e nella prova di perseverare nella sfida e nel fascino che il servizio stesso comporta.

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Posted in 1/2014, Nelle sue mani