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Il servizio di Rover e Scolte dopo il disastro del Vajont

Sono trascorsi cinquant’anni dal disastro del Vajont, che causò più di duemila morti. Un congresso tenutosi a maggio ed un libro edito dal Centro Studi “Don Ugo De Lucchi” di Treviso mettono in luce il servizio che svolsero Rover e Scolte in quel frangente. Ne parliamo con Andrea Padoin, già Capo nel Gruppo Follina 1 e autore del libro.
D. Andrea, avete raccolto in questo libro molte testimonianze inedite di Rover e Scolte che prestarono i soccorsi subito dopo la tragedia del Vajont, il 9 ottobre 1963. Erano ragazzi molto giovani: alcuni avevano appena 16 anni, altri poco più, ma tutti divennero adulti in poche ore, per quello che videro e fecero. Come sorse questa mobilitazione? Da dove arrivarono i volontari che venivano dallo Scautismo?
R. L’arrivo dei Rover e delle Scolte di ASCI e AGI avvenne davvero su iniziativa personale o locale: molti ragazzi si organizzarono di Clan (è il Caso dei due Clan di Treviso, di Mestre, del Noviziato cittadino di Udine o del Fuoco di Mestre), altri arrivarono collaborando con altre istituzioni (a Milano il Clan della Rocchetta collaborava già in modo continuativo con la Croce Bianca nell’assistenza a malati e infermi, e a Longarone i Rover giunsero con i “militi” di quell’Associazione di Volontariato); in Umbria il Commissario Regionale ASCI cercò di mettere in piedi un Clan di Formazione, e così 19 Rover provenienti dai vari Clan della regione si incontrarono direttamente sul treno per Belluno. Arrivarono poi ragazzi da Bologna, Genova, Bassano del Grappa, Conegliano (TV) e altri luoghi ancora. In totale parliamo di quasi 200 ragazzi. Uno arrivò in autostop pure dalla Francia…
D. Che tipo di servizi svolsero?
R. Incredibilmente – per la mentalità corrente – i Rover e le Scolte furono messi a fare servizi molto duri: quello che abbiamo chiamato il “pettine”, cioè il setacciamento del greto del fiume alla ricerca di cadaveri, ma soprattutto il servizio al cimitero di Fortogna, dove ai Rover e alle Scolte fu chiesto di ricomporre i cadaveri, lavarli e deporli nelle casse, e poi di accompagnare i famigliari nel riconoscimento dei propri cari. Un servizio che passò inosservato, perché le solite leggi dell’informazione prevedono che il tempo affievolisca l’interesse, fu quello alle Colonie di Claut e Cimolais, dove vennero sfollati gli abitanti di Erto e Casso per parecchi mesi. Agli Scout fu affidata la gestione delle colonie, dalla pulizia delle camere e delle stoviglie, all’animazione serale; e questo servizio – a turni successivi – si protrasse per molte settimane.
D. Nel libro racconti come gli Scout chiesero esplicitamente di essere assegnati ai compiti più gravosi dal punto di vista umano ed emotivo: ci spieghi meglio?
R. La disponibilità al servizio dimostrata da quei ragazzi si può riassumere nella battuta che un Rover umbro fece a chi lo voleva mandare al centro rifornimenti di Longarone a dare una mano ai soldati; egli rifiutando di muoversi dal cimitero di Fortogna, disse: “Non abbiamo mica fatto tutta questa strada per affettar panini!”. Ecco, direi che questa battuta esprime bene la determinazione che in quei giorni animava i ragazzi, dopo un iniziale momento – comprensibilissimo – di scoramento. Una riflessione fatta nell’organizzare il convegno ci ha fatto pensare a come Rover e Scolte fossero più preparati sul piano psicologico e anche spirituale ad affrontare una situazione tanto drammatica: più preparati ad esempio dei soldati, che erano più grandi (la maggiore età era a 21 anni all’epoca); in questo ci è sembrato di vedere un grande aiuto degli Assistenti, che pure accompagnarono i Rover e i loro Capi, e che riuscirono a trasformare quell’esperienza in un’occasione di crescita personale e interiore molto forte.
D. Quanto durò questo servizio?
R. Il servizio iniziale durò un paio di settimane, poi i volontari furono mandati via per il pericolo di epidemie; i ragazzi raccontano come venissero irrorati più volte al giorno di disinfettante, e molti di quei ragazzi, oggi che sfiorano i 70 anni, hanno ancora nelle narici quell’odore acre respirato a Fortogna. Poi seguirono le settimane di servizio alle Colonie. Un dato da non dimenticare è che in quel periodo le scuole erano già cominciate, eppure nessuna tra le famiglie dei Rover si oppose alla richiesta del o della figlia di impiegare una o più settimane per quel servizio.
D. C’è qualche episodio in particolare che pensi possa essere significativo?
R. Nel libro ce ne sono davvero tanti. A me ha colpito la testimonianza di un Rover di Mestre. Il 10 ottobre, al mattino, la madre gli aveva raccontato quanto appreso dalla radio; nel corso della mattinata all’istituto tecnico egli riuscì a mettersi d’accordo con alcuni compagni di Clan. E per loro fu normale, alle 14.00, chiedere un’auto in prestito e salire a Longarone per vedere se c’era bisogno. E fu normale andarci in uniforme. Ecco: l’idea che questi ragazzi siano partiti per un servizio ignoto, praticamente subito, e abbiano deciso fin dal primo istante di indossare la loro uniforme mi ha commosso. C’è dietro questa scelta uno stile scout, che non è esteriore, ma che è fatto di scelte quotidiane, di azioni, di spirito. Baden d’altro canto nei suoi scritti ci ha lasciato grandi riflessioni sul tema; e Baden fu a Longarone coi Rover milanesi.
D. Come è nata l’idea di questo libro?
R. Il Centro Studi “De Lucchi” di Treviso non è nuovo a proposte che uniscano l’analisi di alcuni aspetti storici del Movimento scout ad una riflessione metodologica ed educativa. E’ stato naturale, dopo il precedente convegno (e libro) sulle esperienze di Scautismo italiano oltrefrontiera, pensare di dedicarci a questo tema. Anche perché due membri del Centro (Gianni Tosello e Maurizio Ambria) accorsero al Vajont 50 anni fa. Il libro nasce quindi dopo l’idea del Convegno, perché il nostro intento non è far memoria che può diventare facilmente celebrazione, ma rendere quella memoria occasione di riflessione oggi, per i Rover, le Scolte, i Capi. Ecco perché a seguito del Convegno del 18 maggio abbiamo preso a girare l’Italia per far conoscere quell’esperienza di persona: è un trapasso di nozioni che per noi vale moltissimo ed è la logica che si evince anche dal titolo di Libro e Convegno… è il “Preparàti a Servire” che diventa “Prepàrati a Servire”, un appello che facciamo ogni giorno anche a noi stessi.

Pier Marco Trulli

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Posted in 2013, 5/2013, Annualità, Preparati a Servire