Il ruolo dell’assistente nel gruppo e nell’unità

Trattare in poche righe il ruolo dell’assistente in un gruppo Scout e in una unità è senz’altro una impresa ardua, bisognosa di molto più approfondimento. La sinteticità, tuttavia, potrebbe avere il pregio di indicare in modo agile alcune coordinate utili per un inquadramento più preciso di questo tema, oggi più che mai rilevante nella vita e per la vita dell’associazione.
Per questo motivo, ho pensato di suddividere questo breve contributo in tre parti, nella speranza che serva, come un aperitivo, a fare venire la voglia di pietanze più succulente.

L’assistente nella tradizione dello scautismo cattolico italiano
Nello scautismo cattolico italiano ci sono due “frasi celebri” molto importanti che definiscono il ruolo dell’assistente. La prima è: “Il capo è un assistente col cappellone e l’assistente è un capo con la tonaca”; la seconda è: “Il capo e l’assistente sono due teste sotto lo stesso cappellone”.
E’ significativo notare che in tutti e due i casi l’assistente viene considerato nella sua relazione col capo. Se si guarda bene, la prima frase ha a che fare con l’essere dell’assistente: si tratta di un presbitero chiamato esercitare il suo ministero pastorale attraverso gli strumenti messi a disposizione dal metodo Scout, che deve quindi conoscere e saper utilizzare adeguatamente. La seconda frase, invece, riguarda il fare dell’assistente: solo nella sintonia e nella efficace attivazione della complementarietà dei rispettivi ruoli, il capo e l’assistente potranno riuscire a conseguire i traguardi postulati dall’educazione secondo il metodo Scout.
In quest’ottica, l’assistente deve svolgere il suo ruolo, cioè “assistere”, rispettando e promuovendo la responsabilità dei capi laici all’interno di una feconda relazione con essi, mentre, d’altra parte, una sua presenza significativa nell’ambito delle attività del gruppo Scout non può prescindere da una adeguata conoscenza del metodo, in generale, e delle singole metodologie di branca, in particolare.

Uno sguardo realistico alla situazione
Volendo dare uno sguardo realistico alla situazione, mi sembra che attualmente siano identificabili tre tipologie di assistenti. La maggioranza degli assistenti sono parroci che si sono ritrovati un gruppo Scout in parrocchia, e che per senso del dovere e ammirevole zelo pastorale cercano di seguirli come possono, magari assicurando una presenza nei momenti celebrativi più significativi della vita del gruppo o delle unità. Ci sono anche – seppure molto inferiori di numero – quei presbiteri che hanno conosciuto lo scautismo nell’ambito del loro ministero pastorale, lo hanno apprezzato, se ne sono in qualche modo innamorati, e lo hanno scelto come tratto connotante del loro servizio educativo, senza nulla togliere alle esigenze e ai doveri del loro ministero di parroci o assimilati. In questi il dovere si e trasformato in… piacere. Ci sono, infine, quei presbiteri che sono nati dallo scautismo, che nello scautismo hanno fatto il discernimento della loro vocazione sacerdotale e che a livello quasi cromosomico vivono il loro servizio pastorale con un imprinting che – lungi da chiusure autoreferenziali – li connota nella vita e nel ministero. Tutte e tre le tipologie appena descritte, però, sono accomunate da un elemento determinante: il tempo che manca. Se, da un lato, è vero che troviamo sempre il tempo per ciò che ci piace, dall’altro è anche vero che la vita
delle parrocchie è diventata, oggi, talmente frenetica al punto che il parroco – normalmente solo – fatica spesso a prendersi adeguatamente cura già solo della “pastorale ordinaria” (liturgia, catechesi, sacramenti, ecc.). Ovviamente, chi ne fa le spese sono le associazioni presenti in parrocchia, e in particolare gli Scouts: la presenza di capi laici autonomi e non “prete-dipendenti” (mi si lasci passare l’espressione), infatti, da un lato tranquillizza il parroco, perché “c’è chi ci pensa”, mentre dall’altro fa spesso sentire il gruppo – a partire dai capi – senza una adeguata “assistenza” spirituale e non pienamente inserito nel tessuto vivo della parrocchia, con il risultato di una vita spirituale vissuta… al ribasso.

Alcuni suggerimenti pratici
In presenza di questa situazione, occorre, da un lato, continuare a promuovere una “misura alta” dell’azione educativa secondo il metodo Scout, che ha nella dimensione spirituale uno degli elementi più importanti; dall’altro, è necessario riuscire ad ottimizzare il tempo limitato e accrescerne la qualità, intervenendo sui moltiplicatori, cioè sui capi. Se questo è vero, vuol dire che l’assistente:
•    dedicherà particolare sollecitudine alla direzione di gruppo e alla formazione capi di gruppo, curandone, in stretto collegamento con il capo gruppo, il percorso di formazione;
•    aiuterà i capi del gruppo a maturare la necessità di approfondire la conoscenza della fede, affinché essi, attraverso i mezzi del metodo, riescano a far passare ai ragazzi la spiritualità, strutturando percorsi che abbiano come obiettivo l’incontro comunitario e personale con Cristo; l’assistente non è il “professionista del sacro”, da un  lato, e dall’altro, la sua assenza non vuol dire che non possa esserci un percorso spirituale di buon livello nelle unita;
•    se avrà tempo a disposizione – oltre quello dedicato alla direzione di gruppo e alla formazione capi sarà importante che partecipi alle riunione delle staff delle singole unita, se non sistematicamente, almeno nei momenti più importanti della programmazione;
•    se in gruppo sono presenti le terze branche, cercherà di seguirle con un occhio particolare, non solo perché molti Rover e Scolte sono inseriti nelle staff di unità, ma anche perché la fase della crescita rende fruttuoso un contatto personale che si evolva – a Dio piacendo – in un percorso di accompagnamento spirituale;
•    cercherà di essere presente nei momenti più importanti della vita del gruppo e, se possibile, delle unità: Pane e Perdono solo l’assistente li può amministrare…;
•    cercherà di approfondire – per dovere, per piacere o per passione – la conoscenza del metodo Scout, sia nel trapasso delle nozioni che avviene all’interno del gruppo e delle staff di unità, che andando a frequentare il campo programmato annualmente dall’associazione per assistenti e capi gruppo, oppure – e questo sarebbe il massimo – iscrivendosi ai campi scuola associativi come allievo, per imparare il metodo “dal di dentro”.
Ovviamente questi suggerimenti vanno mediati con le realtà concrete di gruppi, unità ed assistenti, in una tensione continua a rendere sempre più lo scautismo una scuola di vita, proiettata nell’orizzonte della santità.

Don Paolo La Terra     Assistente Regione Sud

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Posted in 2012, 4/2012, Nelle sue mani