FORTEZZA…

Eccoci arrivati quasi alla fine del nostro viaggio alla scoperta delle Virtù Cardinali. Nel nostro zaino però manca ancora la virtù della Fortezza, scopriamola insieme!
Il fuoco è uno dei simboli che indica lo Spirito Santo: a Pentecoste, scese sopra gli apostoli sotto forma di lingue di fuoco. La fortezza è uno dei doni dello Spirito Santo.
La fortezza è la fermezza d’animo nel compiere con decisione il proprio dovere, orientandoci verso il bene, senza farci distogliere dalla paura. Questa virtù è un dono dello Spirito Santo che infonde in noi la forza spirituale per affrontare le difficoltà della vita. Questa virtù, quindi, aiuta nel quotidiano a resistere alle difficoltà, fornendoci i mezzi per affrontarle nel giusto modo. Il campo della fortezza è dunque molto ampio, perché di questa virtù c’è bisogno là dove si deve resistere alle minacce, si devono superare le paure, si devono affrontare la noia, il tedio, il disgusto dell’esistenza quotidiana per riuscire a mettere in atto il bene. È anche la virtù che ci rende capaci di non arrenderci di fronte alle difficoltà che ci impediscono di essere cristiani, di trovare la forza di testimoniare sempre la nostra “Fede” vincendo ogni paura.
Lo Spirito Santo con il dono della “Fortezza” ci dona la forza di…
Superare le difficoltà della vita, senza perdere la speranza e la gioia di credere in Gesù.
Lottare contro la falsità cercando sempre la verità.
Vincere le nostre paure che ci impediscono spesso di agire bene.
Essere solidali con coloro che devono portare il peso della sofferenza.
Dare il massimo di noi stessi e di superare la fatica per farlo.
In quale modo possiamo vincere le paure e mostrare coraggio?
In quale modo possiamo vincere le paure e mostrare coraggio?

Il primo gradino della fortezza cristiana non è di stringere i denti, bensì di prendere coscienza della  propria debolezza e dei propri limiti. La fortezza non è allora semplicemente una forma spavalderia che  fa stringere i denti in uno sforzo eroico. È, invece, un abbandonarsi in pace a Dio, sapendo che siamo deboli, fragili.

La fortezza si esprime al meglio nel resistere, nel vivere la virtù cristiana della pazienza, e non nell’aggressività dell’attacco.
Anche nella quotidianità entra in gioco la fortezza infatti tutti i giorni dobbiamo resistere nel nostro dovere, nel nostro studio, nei nostri impegni, nel fare il bene malgrado tristezze, fatiche fisiche, malinconie, forse nostalgie di situazioni diverse.
E ora parliamone in Squadriglia!
Ognuno/a di voi cerchi di richiamare alla memoria uno o due momenti che hai vissuto in cui si è stato/a forte in senso cristiano, cioè secondo le beatitudini e non secondo “il mondo”, e hai scoperto di essere felice per questo. Poi condividete il ricordo con il resto della Squadriglia.

Immagine tratta dalla cappella degli Scrovegni in Padova.

In quest’affresco di Giotto la virtù della Fortezza è eretta, decisa, con la destra brandisce una mazza, con la sinistra sorregge un grande scudo sul quale campeggiano una croce e un leone rampante. Una pelle di leone le fa da mantello: la testa della fiera come elmo, le zampe anteriori legate al collo, quelle posteriori in vita. Forte come un leone!

Dalle lettere di San Paolo:
“Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rm 12,12)
“Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l’infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi”. (Rm 15,1-2).

LA PRUDENZA IN PERSONA: SANTO STEFANO PRIMO MARTIRE DELLA CHIESA

La fortezza ha accompagnato e sostenuto i martiri nel sacrificio della loro vita, proprio per questo Santo Stefano primo martire della Chiesa è un esempio concreto di cosa voglia dire essere forti in senso cristiano.
Stefano era uno dei sette uomini scelti dagli apostoli per aiutarli nel servizio ai poveri. Annunciava a tutti che Gesù è il Salvatore degli uomini, morto in croce e risorto. Il suo prodigarsi nell’annuncio della buona novella gli costò caro: si inimicò i giudei. A seguito di una grande persecuzione contro i discepoli ed i fedeli, Stefano venne arrestato e condannato a morte. Mentre lo lapidarono Stefano non provò rabbia o rancore nei confronti dei suoi aguzzini, bensì disse: “Signore non imputare a questa gente il male che commettono,
ma perdonali”.