«Preziosa e fragile
instabile e precaria
chiara e magnetica
leggera come l’aria
sempre moderna anche quando è fuori
moda
sempre bellissima cammina per la strada
all’orizzonte, dietro la fronte
sul palcoscenico e dietro le quinte
allenami, insegnami a vivere con te!»
(Jovanotti).

Nell’immaginario collettivo quale figura concettuale ci siamo fatti della libertà per stare limpidamente di fronte all’altro senza reprimerlo, ma camminandogli accanto per servirlo in un prezioso insegnamento di vita, quale è l’amore? Consideriamo la bellezza della libertà fuori da ogni schema logico perché è amore puro e travolgente? Quanto tempo dedichiamo per allenarci a vivere con questa disposizione interiore per essere in la libertà?

«Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a
libertà. Purché questa libertà non divenga
un pretesto per vivere secondo la carne, ma
mediante la carità siate a servizio gli uni
degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua
pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo
tuo come te stesso. Ma se vi mordete e
divorate a vicenda, guardate almeno di non
distruggervi del tutto gli uni gli altri!»
(Gal 5,13-15).

Secondo quanto ci raccomanda l’Apostolo Paolo, la libertà cristiana nella sua più profonda autenticità e verità si esprime nel servizio fraterno attraverso la carità. Questa immagine corregge quel facile fraintendimento in cui possiamo cadere, ritenendo la libertà come un sentirci esonerati dalla necessità di rispondere di noi stessi di fronte ai fratelli o, riconoscendoci in debito nei loro confronti. Intendere la libertà come dispensa da questa necessità significherebbe pensarla come concessione a vivere per noi stessi, in maniera squisitamente egocentrica. Ecco il senso del vivere la vita solo seguendo le passioni della carne: non più una vita libera, ma schiava. E allora: viva la libertà per essere servi con amore! San Paolo ci propone l’alternativa alla vita secondo la carne come vita che si coniuga nel servizio: solo attraverso la carità si può essere a servizio gli uni degli altri. La carità è agape e per l’Apostolo tutta la legge trova la sua credibile pienezza in un solo precetto: «amerai il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19,18).
Anche Gesù, lungo le strade percorse per servire la ferita e deturpata immagine di Dio nel volto di ogni uomo, ha ricondotto tutta la legge al comandamento dell’amore facendoci comprendere la qualità dell’amore nel servizio. Chi è libero dentro, ama e, chi ama, serve! La categoria del servizio, da sola, descrive la differenza che separa l’eros greco dall’agape cristiana: l’eros cerca il bene proprio, l’agape il bene che è l’altro. Così le due forme dell’amore non si oppongono ma si completano. La consuetudine in cui spesso cadiamo nella vita o genera l’agape oppure, inevitabilmente, finisce per esprimersi nell’ansiosa ricerca di soddisfare passioni e piaceri effimeri.
Perciò il concetto di amore come servizio ci aiuta a rinnovare il nesso antico tra libertà e servizio proprio come ci istruisce san Paolo, evitandoci la caduta nella comune immagine della libertà come indifferenza all’altro e allertandoci nel prestare attenzione sul fatto che la scienza gonfia, mentre la carità edifica (1 Cor 8, 1-2).

«Parola magica, mettila in pratica
senti che bella è, quant’è difficile
e non si ferma mai, non si riposa mai.
Ha mille rughe ma è sempre giovane
ha cicatrici qua, ferite aperte là,
ma se ti tocca lei ti guarirà!
Ha labbra morbide, braccia fortissime
e se ti abbraccia ti libererà!»
(Jovanotti).

Sì, è vero! L’aspirazione alla libertà è innata nel dinamismo del nostro essere persona e tende a superare i condizionamenti imposti dai limiti interiori ed esteriori per realizzare quei desideri di vita piena e felice.
Infatti, l’esperienza di Dio facilita un vero e proprio processo di liberazione (esodo) dalla schiavitù derivante dalla falsa immagine di Dio (idolatria) e che rende ingiuste le nostre relazioni. Solo l’incontro con Dio, in Cristo, sfocia nell’esperienza di liberazione dalla paura e dall’angoscia della morte (risurrezione): è questo l’aspetto proprio e originale della proposta positiva della libertà. La liberazione dalle varie forme di schiavitù rimane sterile se non sfocia nella libertà dell’amore che si dona nello scambio delle potenzialità che possediamo in tutti gli ambiti vitali.
Il frutto dello Spirito comunicato da Dio per mezzo del Cristo consiste nel dinamismo dell’amore orientato al dono e servizio reciproco.

«La carità è paziente, è benigna la carità; non
è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia,
non manca di rispetto, non cerca il suo
interesse, non si adira, non tiene conto del
male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma
si compiace della verità. Tutto copre, tutto
crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità
non avrà mai fine».
(1 Cor 13, 4-8).

L’espressione dell’amore cristiano, quale servizio al prossimo, ci porta a vivere la libertà dello Spirito nella forma del servizio disinteressato verso il prossimo (Rm 6 12-13), così come anche il servizio reso a Dio ha il volto del servizio alla giustizia e, quindi, al fratello facendoci evitare la riduzione in schiavitù nel peccato compiuto. Infatti, solo l’offerta di tutto il nostro essere a Dio rende possibile che il peccato non domini più su di noi (Rm 6,14). Per denunciare l’equivoco che intende la libertà dalla legge come pretesto per vivere secondo la carne, san Paolo descrive il comportamento corrispondente come assoggettamento al potere del peccato (Rm 6, 15-18.20-23).
Il servizio della giustizia è concretamente il servizio verso i fratelli. L’idea dell’amore cristiano quale servizio reso verso i fratelli non è certo esclusiva di san Paolo, perché trova la sua prima e fondamentale definizione nell’insegnamento di Gesù (Mc 9,33-36; 10, 42-45) e soprattutto attraverso la sua personale testimonianza (Lc 22, 24-27; Gv 13, 12-16).

«Le donne e gli uomini, gli esseri umani
piante selvatiche e tutti gli animali
spiriti liberi, ovunque siate voi
fatevi vivi manifestatevi […]
La voglio qui per me, la voglio qui per te.
La voglio anche per chi non la vuole per sé»
(Jovanotti).

Papa Francesco ci ricorda a proposito del servizio che questi è «l’antidoto più efficace contro il morbo della ricerca dei primi posti; è la medicina per gli arrampicatori» affinché possiamo «testimoniare con coraggio e generosità una Chiesa che si china ai piedi degli ultimi, per servirli con amore e semplicità» senza frenarci perché arresi di fronte ai tempi disgreganti che viviamo, ma credendo che possiamo cambiare e far cambiare le logiche dominanti in quanto «la via dell’amore è sempre “in perdita”, perché amare significa lasciare da parte l’egoismo, l’autoreferenzialità, per servire gli altri».
E allora:

«Viva la libertà! Viva! Viva! …
Tempi difficili, a volte tragici, bisogna crederci
e non arrendersi!»
(Jovanotti).

don Nik